Don Giussani è stato un profondo conoscitore dell’uomo. Da quando, ragazzo, ha trovato nella lettura di Leopardi una delle chiavi più espressive dell’animo umano, mai si è placata la sua ansia di incontrare e leggere il segreto dell’uomo. Il senso religioso (la sua opera più famosa, la più letta, anche se forse una delle più complesse e profonde) è innanzitutto una grande riflessione su tutte le dimensioni della vita umana.
Ma questa riflessione era per don Giussani l’esaltante “esercizio” di vita di ogni incontro. Chi ha avuto la fortuna di incontrarlo o di sentirlo parlare ha certamente percepito di essere di fronte ad un genio dell’umano, ad una intelligenza capace di penetrare le pieghe della ragione, dell’affettività, della libertà.
Un amante della vita, un amante dell’uomo e della sua opera, ecco come lo definirei. Amante dell’uomo perché innamorato di Cristo, amante di Cristo perché innamorato dell’uomo. Per lui era impossibile scindere le due cose e ogni volta che parlava dell’uno parlava, pur non nominandolo, anche dell’altro.
Don Giussani era innanzitutto un uomo segnato, colpito da un incontro avvenuto a quattordici anni, quando improvvisamente ha percepito che quel Verbo di cui parla san Giovanni nel primo capitolo del suo Vangelo, “il Verbo si è fatto carne”, voleva dire che nella nostra vita era entrata la giustizia; in un uomo, la verità; in quel volto di uomo, la bellezza. Quell’uomo portava in sé tutto quello che ogni cuore poteva desiderare. Se non tenessimo conto di questo, non comprenderemmo le ragioni profonde della sua passione per l’uomo, della sua instancabile opera di educatore, padre e maestro.
Una delle prime cose che don Giussani, mio insegnante di religione al Berchet, mi ha comunicato è stata proprio la passione di incontrare gli uomini attraverso le loro opere, attraverso i loro scritti, attraverso le loro poesie, i loro romanzi, i loro libri. Essendo appassionato lui stesso, ci ha introdotti, per esempio, alla tradizione del canto, non solo del canto importante, del canto gregoriano, del canto polifonico, di cui è stato un grande difensore e comunicatore, ma anche dei canti popolari, dei canti brasiliani come di quelli irlandesi, dei canti africani piuttosto che di quelli latino-americani, perché attraverso il canto, così come attraverso la poesia e la letteratura, egli faceva incontrare a noi ciò che aveva incontrato lui, e cioè il desiderio dell’uomo di conoscere ciò che sta dentro la vita, ciò che costituisce la profondità di ogni cosa, di ogni pensiero, di ogni respiro.
Amante della vita, è una definizione di Javhè, nell’Antico Testamento. È innanzitutto questo che mi ha fatto riconoscere in don Giussani il segno di Dio, la Sua orma. Egli è stato un amante della vita anche nei suoi aspetti più familiari: amava mangiare, amava bere, amava la conversazione, le cose belle, la montagna, il mare, i viaggi, perché in tutto ciò, appunto, vedeva un segno del destino cui la vita di tutti gli uomini è ordinata.
Questo suo amore alla vita è diventato per noi una educazione alla bellezza, una educazione a scoprire ciò che di bello c’è nel mondo e a vedere in esso una parola detta a noi. In una sinfonia di Beethoven, in una sonata di Schubert, in un tramonto particolarmente emotivo, in una traccia di luna e di stelle sul mare nella notte (sto citando delle cose di cui lui ci parlava), in una voce di bambina che dice alla mamma “Mamma tutto è grande per te. Tutto in te diventa grande” egli trovava se stesso e l’infinito. Ecco, questa è l’educazione alla bellezza che ci ha comunicato: vibrare per le cose grandi o meglio per la grandezza che sta dentro tutte le cose.