L’attenzione dell’opinione pubblica negli Stati Uniti è rimasta concentrata la scorsa settimana sul terribile massacro avvenuto in Colorado, ma già dall’inizio di questa settimana i media nazionali si sono di nuovo focalizzati sulla campagna elettorale per le prossime elezioni presidenziali. Questa volta l’argomento è stata la politica estera, tema attualmente non di grande interesse per la maggioranza degli americani, ma importante per una selezionata minoranza. Inoltre, i candidati hanno fatto il possibile per collegare i temi di politica estera alla situazione economica e finanziaria che invece preoccupa la gran parte degli elettori. Particolare rilievo ha ricevuto la visita a Gerusalemme del candidato Repubblicano alla presidenza, Mitt Romney, e le sue prese di posizione sull’Iran, che hanno scatenato un acceso dibattito.
Dopo la visita in Gran Bretagna, che si è rivelata non priva di difficoltà, Mitt Romney, secondo quanto riportato da The Week, ha avuto in Israele un’accoglienza molto più calorosa. Dopo la visita al Muro del Pianto, ha incontrato i leader israeliani e il Primo Ministro palestinese, Salam Fayyad, raccolto un po’ di fondi per la sua campagna elettorale, per poi cenare con il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che è una sua vecchia conoscenza.
Nel suo discorso, Romney ha definito Gerusalemme capitale di Israele, affermazione evitata per decenni dai presidenti statunitensi, e ha dichiarato che gli Usa hanno “un solenne dovere e un imperativo morale” a evitare che l’Iran abbia armi nucleari e che “nessuna opzione può essere esclusa” per raggiungere questo scopo. A ribadire la posizione è intervenuto anche il suo consigliere in politica estera, Dan Senor, che domenica mattina ha detto che “se Israele dovesse prendere azioni per conto proprio” per fermare l’Iran, “il governatore rispetterebbe questa decisione.” C’è da chiedersi se appoggiare un attacco preventivo israeliano all’Iran sia realmente una buona idea per un candidato presidenziale.
Come ben riassunto ancora da The Week, le reazioni sono state molto variegate. Per alcuni Romney sta diventando imprudente: se Israele attaccasse l’Iran, dice Martin Longman su Booman Tribune, buona parte dell’opinione pubblica mondiale condannerebbe gli Stati Uniti per il grande aiuto fornito a Israele. Sembra perciò del tutto “pericoloso e irresponsabile” che Romney benedica così apertamente un simile attacco, soprattutto senza porre condizioni. In questo modo, non solo contesta la politica estera di Obama, ma la danneggia. “Noi stiamo cercando di evitare una guerra e Romney spinge Israele a iniziarne una.” Per di più, questa posizione, piuttosto che rafforzare Romney, “lo fa sembrare debole”, perché lo fa apparire come in seconda fila rispetto a Netanyahu.
Tuttavia, molti americani sono d’accordo con Romney, come evidenzia Walter Russell Mead su The American Interest, perché se è vero che “dopo le guerre in Iraq e Afghanistan, non vi sono molti americani desiderosi di lanciarsi in nuove guerre in Medio Oriente”, Israele rimane un caso speciale e molti americani pensano che proteggere Israele dai suoi (e nostri) “peggiori nemici” è un dovere morale, non importa quali potrebbero essere le conseguenze. Quindi, sostenendo il diritto di Israele alla sua autodifesa, Romney sta in realtà dicendo “a milioni di elettori che è un affidabile e leale americano”.
Alla fine, però, Romney sta essenzialmente seguendo la linea di Obama, anche se cerca senza dubbio di delineare distinzioni nette con la politica dell’attuale presidente circa Iran e Israele, ma, come scrive Peter Baker su The New York Times, “una volta che si tolgono i gesti plateali, le reali differenze fra i due in politica estera sembrano più una questione di intensità e tono” che di sostanza. Per esempio, “entrambi vorrebbero fermare il programma nucleare dell’Iran con sanzioni e trattative, senza escludere l’alternativa militare”. La domanda degli elettori è chi dei due sarebbe effettivamente più in grado di raggiungere in modo efficace questo obiettivo condiviso.