Ammettiamolo: noi adulti non ne possiamo già più della maturità, a meno che non abbiamo figli coinvolti o non siamo in cattedra, e non è scontato nemmeno in questi casi. È appena iniziata, ma ci sembra che se ne parli tanto, troppo. I giornali, le tivu, la rete si riempiono di consigli per gli studenti, per i genitori, per gli insegnanti. In fondo è comprensibile, gli esami di Stato sono comunque una notizia e poi il mondo è pieno di esperti che desiderano dispensare consigli.
Se non ne possiamo più della Maturità è perché l’abbiamo già passata, perché sappiamo com’è. E siccome è storia già vista, possiamo permetterci coi ragazzi frasi come ma che ti stressi a fare, guarda che non serve a niente, quante storie, che esagerato mica ti mangeranno.
Un errore analogo può cogliere l’adulto anche in molte altre circostanze rispetto ai più giovani e pecca sempre nel disconoscere un dato di fatto, di una banalità sconcertante: noi sappiamo già, ma per loro è la prima volta, per loro accade adesso. E li prende tutti.
La pazienza necessaria nei loro confronti, il sostegno di cui hanno bisogno, la comprensione e la capacità di immedesimazione con ciò che sentono originano proprio da questo elementare riconoscimento.
Allora in questi giorni, nel solito tentativo di spianare la strada ai nostri figli, come genitori vediamo almeno di non togliere loro il gusto della novità della Maturità, non permettiamo che il nostro già-saputo inquini la possibilità di un’esperienza piena e nuova, per la quale la curiosità si accoppia alla trepidazione e il timore all’attesa della soddisfazione di un risultato positivo. Non vogliamoli rendere a tutti i costi anaffettivi, atarassici, in completo self control. Come un cinquantenne deluso, appunto. Lasciamoli agitarsi, sfregarsi le mani per il nervoso, sillabare a mezze labbra l’ultima parte della tesina (quella che alla fine non è mai saputa benissimo), cambiarsi quattro magliette davanti allo specchio perché non ne va mai bene una.
E voi professori, stamattina, davanti ai vostri studenti pensate un istante all’ultima volta che siete stati a teatro e lo spettacolo vi è davvero piaciuto. Per l’attore che vi ha così deliziato sarà probabilmente stata la ventesima replica, eppure lui vi ha trattato come se fosse stata la prima rappresentazione assoluta, l’unica. L’unica per voi. Non ha ceduto un millisecondo alla routine e alla scontatezza, non si è messo a ciabattare in scena, non si è attardato in quinta chiacchierando con un collega, non ha interrotto il monologo per una pausa caffè. Era lì solo per voi e ve l’ha dimostrato, strappando il vostro appaluso.
Se magari in questi giorni si celebra la vostra ventesima replica della Maturità, siate all’altezza dell’attesa di chi continua a sfregarsi le mani per il nervoso, di chi ha balbettato la tesina in macchina col papà che l’accompagnava e non è mai riuscito a stare zitto come avrebbe dovuto, di chi davanti allo specchio ha scelto la migliore maglietta disponibile tra le quattro del suo guardaroba.
Professori, stamattina provate a strappare voi un applauso ai vostri studenti. Ci riuscirete se non sarà una finzione, se davvero questa Maturità 2013 verrà riconosciuta come unica e irripetibile, perché unici e irripetibili sono i ragazzi che avete davanti e in fondo anche voi. Domani infatti sarete già diversi, se le cose oggi andranno bene.
E tutti noi che in questi giorni solchiamo distratti i marciapiedi delle nostre città, invece di fare lo slalom fra gli zaini e i libri stretti sottobraccio magari sbuffando per l’intralcio, alziamo lo sguardo. Cogliamo la trepidazione nei volti dei ragazzi che incrociamo e facciamocene sorprendere. Guardiamo con benevolenza e tenerezza a quei sorrisi nervosi, alle voci che scappano troppo forti, alle mani che fremono, ai silenzi concentrati. Potrebbe anche accadere che una volta raggiunto il nostro posto di lavoro, per una volta, non ci appaia tutto scontato, che la giornata non sia nuovamente parte di un eterno deja-vù.
Perché la Maturità, esattamente come il nostro lavoro di ogni mattina, accade. Sempre per la prima volta.