Sono il sesto di otto figli e, crescendo, un ruolo importante nella mia educazione da bambino e da adolescente lo ha avuto, per tanti motivi, una mia sorella più grande che ha sette anni più di me.
Ero un po’ il suo fratello preferito e passavamo lunghe ore in discussioni sulla vita, mentre lei mi introduceva nel mondo che lei stessa andava scoprendo: dalla pratica della meditazione buddista all’arte e alla musica, dal coinvolgimento nell’ambientalismo spirituale e politico al mondo della rivoluzione sessuale, in particolare riguardo al suo assumere un’identità come lesbica e alla sua lotta per la liberazione femminista. La sua tenerezza nei miei confronti e la sua passione, sensibilità e compassione per il mondo e per chi soffriva, tutto questo mi ha fatto molta impressione, lasciando la sua impronta. Però, è stato soprattutto il suo interesse per me che mi ha spesso sostenuto nel viaggio verso la maturità.
Certo, gli anni sono passati e ho fatto il mio incontro cristiano. La mia decisione di entrare in seminario l’ha fatta infuriare, si è sentita tradita e mi ha visto come uno che stava assumendo i panni di un giudice che l’avrebbe condannata. Con gli anni ha tuttavia visto che il mio amore per lei cresceva sempre di più al passo col mio amore per Cristo e i rapporti fra di noi sono diventati più tranquilli.
Poi si è sposata con la sua amante e mi ha fatto capire che aspettava da me gli auguri per il suo matrimonio. Ho mantenuto il silenzio e quando sono tornato a casa per una visita e ho incontrando lei e la sua compagna, e non le ho fatto gli auguri, è rimasta molto ferita dal mio “rifiuto” di “riconoscere la sua dignità”. Siamo usciti dalla casa per discutere sul marciapiede le nostre difficoltà. Il mio cuore era molto appesantito e ho quasi ceduto, volendo assicurarla del mio affetto e della mia stima.
Le ho chiesto di spiegarmi cosa fosse il matrimonio per lei, cosa volesse dire. Dopo tante e tante parole è risultato che per lei era innanzitutto un passo politico per ottenere il riconoscimento della società. Abbiamo continuato la discussione, io tornando ogni tanto sul tema del matrimonio come un rapporto generativo di nuovi uomini. Alla fine ci siamo trovati d’accordo su un punto, cioè che lo Stato non c’entra in queste cose: “Eccetto — ho precisato — per la verifica del bene dei figli”. Mi ha guardato in silenzio e poi mi ha invitato a cena. E’ stata una serata molto piacevole.
Cosa concludo da questo vicenda? Che la verità non può mai essere sacrificata in favore di un rapporto; l’amore senza verità non è amore. E che, con tutto l’amore a cui il nostro rapporto con Cristo ci dispone, spetta a noi fare il sacrificio di far vedere che non rinunciamo né all’una né all’altro. Tocca a noi portare un peso sul cuore per le incomprensioni degli altri. Mia sorella e io abbiamo oggi un bel rapporto perché non abbiamo mai preteso che l’altro non dica tutto, nonostante il grande dolore che ciò può provocare.