Mentre scriviamo Edward Snowden dovrebbe ancora trovarsi nell’area di transito dell’aeroporto internazionale di Mosca, dove è giunto proveniente da Hong Kong, accompagnato da una militante di Wikileaks, l’organizzazione che fa capo a Julian Assange, il pirata informatico che nel 2010 riuscì a entrare negli archivi telematici del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti raggiungendo e poi pubblicando oltre 150 mila documenti riservati.
Snowden, tecnico già al servizio della Cia e della National security agency, da Hong Kong, ove lo scorso 20 maggio si era preventivamente rifugiato, all’inizio del corrente mese di giugno cominciò a diffondere notizie, subito riprese dal quotidiano inglese The Guardian e dal Washington Post, riguardo all’esistenza di “Prism”, un colossale sistema di intercettazione e di controllo istantaneo alla scala planetaria dei messaggi trasmessi e ricevuti dal gigantesco pubblico degli utenti di Internet. Un sistema gestito principalmente dall’americana National security agency, Nsa, con l’attiva collaborazione di analoghi organismi britannici.
La Nsa, specializzata in indagini basate su intercettazioni telefoniche e di messaggi via Internet, insieme all’Fbi e alla Cia è una delle tre maggiori strutture di polizia del governo degli Stati Uniti. Meno nota delle altre due, ha però un bilancio superiore a quello della stessa Cia. Già prima dello scandalo provocato dalle rivelazioni di Snowden la Nsa era salita suo malgrado alla ribalta quando nel 2005 il New York Times aveva fatto conoscere al grande pubblico l’esistenza del suo programma Echelon, un sistema di intercettazione alla scala planetaria gestito dall’agenzia insieme ad analoghe organizzazioni rispettivamente britanniche, canadesi, australiane e neozelandesi.
D’altro canto negli Stati Uniti è illegale soltanto l’intercettazione di comunicazioni di cittadini statunitensi, il che implica a contrariis che quelle di cittadini stranieri siano legittime. In tale prospettiva accordi come Echelon servono alla Nsa anche per aggirare tale divieto chiedendo eventualmente alle agenzie non americane del sistema di sorvegliare telefonate e e.mail di cittadini statunitensi, pronta se del caso a ricambiare il favore.
Snowden – il quale aveva raggiunto Hong Kong dalle isole Hawai, dove stava trascorrendo un periodo di aspettativa dal suo incarico presso la Nsa – è stato incriminato negli Usa per furto di proprietà del governo e per “comunicazione di documenti segreti a persone non autorizzate (a disporne)”. Si tratta di reati generalmente non compresi nei trattati di estradizione, e d’altro canto la Russia ha già fatto sapere che non intende consegnarlo alle autorità americane. Frattanto egli ha chiesto rifugio politico in Ecuador, il Paese nella cui ambasciata a Londra riparò Julian Assange.
La vicenda merita due diversi ordini di considerazioni, con riguardo rispettivamente ai suoi aspetti umani e ai suoi aspetti politici. Si è detto che le colpe di Snowden, che con le sue rivelazioni avrebbe causato gravi danni alla lotta contro il terrorismo internazionale, sono non soltanto diverse ma anche più gravi di quelle di Assange il quale, diffondendo documenti riservati ma di importanza non attuale, avrebbe leso il prestigio ma non anche compromesso il ruolo del Dipartimento di Stato. La differenza è sottile, e comunque ben poco rilevante sul piano giuridico e politico. Dall’analisi delle loro rispettive biografie si ricava che entrambi sono personalità inquiete, non prive di qualche ambiguità e con alcune ombre. Non si può tuttavia non restare colpiti dalla determinazione con cui, ergendosi costi quel che costi a difensori della legalità e della libertà personale contro la “ragion di Stato”, si sono messi contro la maggiore potenza della nostra epoca condannandosi comunque a trascorrere il resto della loro vita come esuli proscritti e raminghi.
L’altro aspetto della questione è quello generale, politico. Non c’è dubbio che il gigantesco sviluppo della comunicazione reso possibile da Internet e dalla prospezione permanente via satellite di ogni angolo del globo metta nelle mani di chi governa il sistema, ossia fino ad oggi gli Stati Uniti, un potere di sorveglianza così ingente e così forte da essere comunque in certa misura irrefrenabile. Lasciamo stare per un momento Snowden e Assange e veniamo a un servizio che i più considerano tanto utile quanto innocuo, ovvero i “navigatori” adesso montati non solo sull’auto ma fruibili tramite telefoni mobili. Non tutti si rendono conto che si tratta del reimpiego a fini civili del sistema di puntamento telematico planetario delle forze aeree statunitensi. Usato in una direzione ci è utile per guidarci verso una meta da noi prestabilita, ma usato in direzione opposta può trasformare ciascuno di noi nel bersaglio di un missile (come hanno imparato a loro spese quei capi terroristi palestinesi contro cui Israele, che se ne può avvalere, dirige missili che li raggiungono sulle singole case ove si nascondono o sulle singole auto in cui viaggiano).
Per poter escludere assolutamente tale eventualità non c’è che un sistema: fare a meno del “navigatore” nonché del telefono mobile. Così come per essere assolutamente certi di non venire spiati al telefono o su Internet non c’è che un sistema: fare a meno sia dell’uno che dell’altra. Oggi tutto ciò è realisticamente possibile? Credo che siamo tutti d’accordo nell’escluderlo. Stando così le cose, e fermo restando il diritto-dovere di contrastare al massimo le degenerazioni del sistema, questo significa che siamo ora chiamati a ripensare i modi della libertà tenendo conto della situazione nella quale ci troviamo.