“Questo mondo moderno – dice Charles Peguy nella sua Veronique – non è solamente un mondo di cattivo cristianesimo, questo non sarebbe nulla, ma un mondo incristiano, scristianizzato. […] C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Ed Egli non perse i suoi anni a gemere ed interpellare la cattiveria dei tempi. Egli tagliò corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo”. Non c’è occasione in cui Papa Francesco parli che non mi tornino alla mente queste parole. Inutile girarci attorno: questo Papa, a chi aveva già il caschetto pronto per la guerra con la modernità, fatica ad andare giù. Poco più di cento giorni di pontificato e non una condanna in materia di temi etici o sensibili. Non una parola sulle grandi battaglie democratiche dell’Occidente, né sulle nuove persecuzioni dei cristiani nella vicinissima e laicissima Francia. Niente. Eppure ieri, all’Angelus, il Papa ha manifestato con forza il fatto che le sue non sono dimenticanze o strategie mediatiche: egli ci sta facendo capire, con questi suoi voluti silenzi, che cosa sia il cristianesimo. È accaduto, infatti, che l’uomo vestito di bianco abbia dedicato la propria riflessione domenicale di ieri al tema della coscienza. Nessun argomento come questo è dichiaratamente così moderno: nel nome della coscienza l’illuminismo kantiano ha sancito la netta autonomia del singolo da ogni forma di religiosità e di dogma, rivendicando – per ciascuno – la possibilità di autodeterminarsi attraverso le proprie decisioni. La coscienza è diventata così la “sentinella” dell’io, lo spazio interiore attraverso cui la ragione del singolo si guadagna il diritto di essere differente, diversa, unica e se stessa. In forza di ciò la nostra società sostiene che noi possiamo amare chi vogliamo e come vogliamo, che possiamo porre un confine alla vita ogni volta che ci si presenta come troppo inaspettata o dolorosa e che, non ultimo, nessuna nostra decisione ci fissa in un punto definitivo e irrevocabile, ma che ogni decisione può essere aggiustata, riformulata o rinegoziata. Ebbene, di questa stessa coscienza, Papa Francesco ha detto – invece – che “è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio; è il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele”.
Altro che silenzio! Con poche parole il Papa ha messo in crisi l’intero pensiero occidentale degli ultimi duecento anni. Ma non si è fermato qui e, stupendo la folla, ha distrutto ogni dietrologia possibile affermando che “noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso. Il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro Padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire”. In due battute Francesco non solo si è inserito sulla scia del pensiero dei suoi predecessori, ma ha anche indicato in chi lo ha preceduto non persone “senza coraggio” o “incapaci di una riforma profonda della Chiesa”, bensì “uomini grandi, esempi da seguire”. Non c’è marketing in quest’uomo, non c’è strategia politica o culturale, ma solo e semplicemente Vangelo.
Ieri Bergoglio non ha inveito contro il mondo, lo ha semplicemente guardato, indicando a tutti quale fosse il punto da non perdere per crescere e per capire. Stupisce che questo stesso gesto sia avvenuto nel giorno in cui il Cardinal Scola, dalle colonne del Corriere della Sera, invitava a passare da un cristianesimo fatto di convenzioni ad un cristianesimo radicato in convinzioni personali tali da generare scelte nuove e radicali nelle materie che più contano nella vita: gli affetti, il denaro, il lavoro. Il mondo oggi non è affamato di pensieri, o di valori, ma – come ha ribadito il Cardinale – di persone che “vivano e incarnino questi valori e queste scelte”. Proprio come ha fatto Benedetto XVI, esempio da seguire, in quanto uomo che ha radicato tutto il suo agire nel misterioso dialogo con Dio che avviene per ognuno di noi in quel personale sacrario che è la coscienza umana. “Gesù non impone mai, – ha chiosato Francesco – Gesù è umile, Gesù invita. Se tu vuoi, vieni. L’umiltà di Gesù è così: Lui invita sempre, non impone”.
Sta in queste parole tutta la sostanza della proposta di Francesco e di Gesù. Non una guerra santa all’insegna dei Cristeros messicani e del loro “Viva Cristo Re!”, stadio radicale e autentico di una fede grande ma molto adolescenziale, ma una vita nuova, senza facili entusiasmi o proibitivi doverismi, bensì ricca di un sentimento della vita profondamente segnato dalla Presenza viva di Cristo e quindi capace, là dove essa urge di più, di scelte forti o dirompenti, come rinunciare a un pontificato o non andare al gran concerto per l’anno della fede, come rimanere fedeli al proprio uomo, o alla propria donna tutta la vita, oppure – molto semplicemente – non venire mai meno alla propria storia e ai volti con i quali Dio si è volutamente legato, terminali ultimi di un Abbraccio più grande, sfida indicibile al nostro borghese capriccio che, nel migliore delle ipotesi, confondiamo dietro la membrana di una tranquilla, e poco esigente, sequela meccanica.