Imprese che resistono

Quella del comitato “Imprese che resistono”, una sorta di chiamata alle armi partita dal basso, è una manifestazione che segnala la difficoltà del momento per tante aziende di piccola e piccolissima dimensione

In effetti pensare a degli imprenditori in corteo, come è successo a Torino lo scorso martedì e come potrebbe capitare ancora a Roma martedì prossimo, non è la prima cosa che venga in mente riflettendo su queste persone abituate a rischiare ogni giorno energie, capitali e “faccia”. Quella del comitato “Imprese che resistono”, una sorta di chiamata alle armi partita dal basso, è una manifestazione che segnala la difficoltà del momento per tante aziende di piccola e piccolissima dimensione. Certo per queste aziende con grandi polmoni, ma senza voce va fatto molto di più da parte di tutti. E tuttavia vorrei usare questo spazio per abbozzare tre riflessioni che la notizia mi suscita.

La prima riguarda il luogo dell’epifania degli “Invisibili”, come sono stati subito battezzati: la Torino della Fiat e dei suoi terzisti. Chi c’era dice che molti manifestanti provenivano da lì: è logico dunque imputare le loro difficoltà anche al comportamento della grande impresa che fino a che le cose vanno bene ingrassa sulle spalle dei terzisti tranne scaricarli al primo vento contrario. Che differenza di comportamento rispetto all’attenzione normalmente dedicata dalle piccole imprese ai propri fornitori con i quali i primi tendono a fare rete nella consapevolezza che la loro fortuna è inscindibilmente legata ai risultati dei secondi.

Occorre però subito aggiungere che si trova particolarmente a mal partito soprattutto quel terzista che sui risultati positivi maturati con la grande impresa si è seduto non ricercando e realizzando differenziazioni di clientela, nella fattispecie per esempio in Germania, o addirittura una discesa diretta al mercato con propri prodotti o servizi. E qui scatta una seconda notazione: la crisi c’è per tutti, ma qualcuno ha saputo in qualche modo anticiparne gli effetti ricercando e ponendo in essere strategie alternative, su cui come già detto vorrei tornare nelle prossime settimane, altri invece si sono attardati sui successi del passato. Questi, che immagino abbiano infoltito le fila del corteo, hanno la possibilità di imparare dai primi seguendoli nell’atteggiamento e nelle idee. Voce per manifestare il disagio, ma anche occhi e orecchie per imparare da chi è più avanti.

La terza riflessione riguarda le associazioni imprenditoriali, segnatamente la più grande e potente, e la loro capacità di rappresentanza che da iniziative di questo genere esce poco o tanto ridimensionata. Certo che fino a quando alla guida delle territoriali vengono chiamati manager di grandi imprese pubbliche sarà certo più difficile, indipendentemente dalla capacità e dalla buona volontà dei singoli, fare gli interessi di imprenditori di piccole imprese private. Se non altro perché la visione che il grande ha del piccolo è quella del terzista e così si torna al punto di partenza. Anche qui sembrerebbe necessario un cambio di cultura e di governance.

Non facciamo mancare a queste persone e alle loro aziende la nostra vicinanza perché è meglio manifestare che chiudere e aiutiamoli con il sostegno e la testimonianza a tornare il più presto possibile al loro compito naturale.

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