Questa settimana liturgica, preparandoci alla domenica Pasquale, ci ha messo continuamente davanti al viaggio dolorosissimo di Cristo, che si consegna alle mani violente di uomini impauriti, e in questo modo alla volontà misteriosa e salvifica del Padre. Che cosa mi dice questo stare costantemente davanti dalla croce di Cristo in questi giorni? Che cosa mi fa capire?
Innanzitutto mi invita a portare ai piedi del patibolo le minacce che noto attorno e dentro di me. Quanti colpi quest’anno! Quante scene di smarrimento e anche di terrore che ci toccano, chi da più vicino, chi da più lontano. Quanto sgomento per tanti che vedono arrivare una “rieducazione” e “colonizzazione culturale” (come dice papa Francesco) sulla sessualità nelle scuole dei figli e poi si vedono emarginati o malmenati quando protestano, fosse anche in silenzio; quanti italiani sconcertati vedendo arrivare ondate di immigrati da culture lontane senza un’ipotesi di futuro comune; quanti gesti violenti in altre parti del mondo che ci riguardano, dall’espulsione delle popolazioni cristiane e di altre minoranze da grandi parti della Siria e Iraq agli attentati di Parigi e, in questi giorni, all’ennesimo massacro, 147 persone uccise, commesso da al Shabaab in Kenia, dando la caccia a studenti cristiani; e poi, nella vita di ciascuno, quante cose subite come violenza, come ingiuste prove e perdite.
Ci viene la tentazione della ribellione, di prendere in mano mezzi di potere per fare paura a chi ci si presenta come minaccia. Tanto che lo spavento ci porta fino alla ribellione contro Dio, responsabile ultimo della realtà in cui ci troviamo. Uno mi ha scritto: “Ho perso la mia fede in Dio, un Dio che non ha ascoltato il nostro grido. Anzi, mentre io e la mia moglie lo pregavamo per la lotta con un temibile tumore, egli ha permesso che una potente leucemia la portasse via in pochissimi giorni”. Questo è un uomo che sente la necessità di far pagare a Dio il prezzo del male ingiusto subìto.
E Dio ha accettato questa sfida. È venuto a pagare il prezzo del male del mondo.
Mentre sentiamo il bisogno di reagire rabbiosamente alle cose che giudichiamo ingiuste, Egli si inserisce nel gioco per cambiarlo. Il mondo sembra proprio questo, agire e reagire, da provocazione a reazione, un turbine sempre crescente di offese. Con noi che cerchiamo di non essere passivi ma di far pagare quello che ci ferisce, se non alla persona che l’ha fatto, certamente a chi — per sua sfortuna — si trova fra le nostre mani. E il prezzo di far pagare è sempre più grande.
Quello che l’uomo sulla croce sembra voler fare col Suo silenzio, col Suo accettare le offese ricevute, col Suo domandare perdono per quelli che “non sanno quello che fanno,” è dire: basta! Il mio corpo, il mio cuore, la mia persona è il luogo dove questo traffico di odio non viene più passato avanti. Accolgo tutto, per offrirlo al Padre come sacrificio perenne a Lui gradito per la salvezza del mondo. Il prezzo lo pago io. Non lo mando indietro a chi me l’ha offerto.
Così, mentre noi sentiamo la necessità di far pagare a qualcuno il male di questo mondo, lui si presenta davanti a noi con uno sguardo di compassione e misericordia.
Quell’uomo sulla croce ci offre perciò un invito: seguimi. Vieni con me. Unisciti a me. Fa sì che anche la tua persona, unita a me, sia il luogo dove questo gioco si ferma. Lasciati abbracciare da me. Mettiti in compagnia di mia madre. Compiamo il gesto redentore insieme, così guadagni anche tu il mio premio, la casa del Padre. Vieni anche tu, ricevi anche tu la gioia di mio Padre.
Seguiamo l’invito di quest’uomo, in questa domenica di Pasqua, affinché sentiamo che la Sua vittoria ci appartiene davvero, la Sua gloria la condivide con noi, e la Sua casa presso il Padre è la nostra unica dimora.