Domenica scorsa ad Ancona il Papa ha chiuso il Congresso Eucaristico della Chiesa Italiana che ha avuto come tema “Signore da chi andremo?”. Nel corso della settimana precedente, i cattolici sono stati chiamati ad approfondire diversi temi, e uno in particolare intendeva mettere in luce il rapporto tra l’eucarestia e la città umana, la polis – tema enormemente significativo e utile nelle circostanze storiche che stiamo vivendo.
Nel botta e risposta tra Gesù e Pietro (“Volete andarvene anche voi?”, “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”) comincia l’avventura di un soggetto nuovo, di un uomo nuovo. In che senso “nuovo”? E qual è il suo cammino nel mondo, il suo percorrere la città umana?
Secondo Benedetto XVI, “in questo sacramento il Signore si fa cibo per l’uomo affamato di verità e libertà. Poiché solo la verità può renderci liberi davvero, Cristo si fa per noi cibo di verità”. Verità e libertà sono le due parole che pongono il nesso autentico tra l’eucarestia e la polis. Esse, però, poggiano su una realtà molto semplice e immediata per ogni uomo: il nutrimento, il cibo.
Per farmi capire chi è (verità e libertà), Gesù si fa pane. Ogni giorno ci dice: mi unisco a te, ti unisco a me, sono il pane che colma il tuo desiderio di infinito, il tuo bisogno di amore, che sazia la domanda di vita che domina il cuore. Ecco l’atto perfetto di cui aveva nostalgia Ibsen, ecco la Bellezza sognata da Leopardi scendere dal cielo delle idee inarrivabili e farsi carne sulla terra. Il soggetto nuovo è “fatto” nuovo non da se stesso, ma da un altro potere, da un altro amore che supera tutte le misure, i limiti, le coerenze. Solo così si può parlare di reale “novità” per l’uomo che essendo stato amato può a sua volta amare.
Un passaggio che lo scorso anno con una formula fulminante il Papa aveva delineato in questo modo: dall’intelligenza della fede all’intelligenza della realtà. Cosa significa nella polis odierna un tentativo cristiano di intelligenza della realtà? Ecco tre esempi: primo, il principio culturale della sussidiarietà, che va usato non nella sua formula ridotta dall’alto verso il basso, ma secondo tutta la sua ampiezza rivoluzionaria esaltante la centralità della persona e dei corpi intermedi; secondo, l’apertura ai giovani, sulla scorta di quel che lo stesso presidente Napolitano diceva al Meeting, per cambiare un’Italia “Paese per vecchi”; terzo, l’accoglienza dell’altro come riflesso di quella carità sperimentata dall’uomo nell’incontro con Cristo: si pensi all’esperienza straordinaria di Portofranco, che riduttivamente si può definire “doposcuola”, ormai diffusa in tutta Italia e coinvolgente migliaia e migliaia di figli dell’immigrazione extracomunitaria.
Tre esempi che si connettono all’ininterrotta storia dell’impegno del cristiano nella città di tutti, ai tanti fatti espressivi di una “intelligenza della realtà” quando la testimonianza cristiana si è fatta cultura, arte, università, tessuto civile, rispetto del lavoro, slancio imprenditoriale, strutture di cura della malattia, organizzazioni educative.
Pensiamo alla città medievale (se possiamo ancora definire “umane” le città dell’Europa è proprio per quella civiltà urbanistica cristiana fiorita quando l’accademia urbanistica nemmeno esisteva), al fiorire di pratiche di carità nella temperie degli assolutismi; a quei magnifici e trascurati centocinquanta anni delle Riduzioni gesuitiche in America Latina; al fermento sociale italiano cominciato sul finire dell’Ottocento; alla lotta contro la barbarie ideologica e nazionalistica del Novecento; al martirio dei tanti fratelli dell’Oriente perseguitati per la loro fede e che pure non smettono di accogliere tutti nelle scuole cristiane e di curare tutti negli ospedali cristiani.
Tutto ciò continua attraverso chi riconosce la presenza di Cristo nella vita, chi si fa trasparente di quell’Amore reale e contemporaneo. Tutti (e anche i non credenti) siamo attratti da personalità come queste. Giriamo lo sguardo verso di loro, li cerchiamo, vediamo in loro una pienezza umana e una verità d’animo che ci fa dire: “Anch’io voglio essere così”. Voglio essere così in famiglia, sul lavoro, quando mi interesso degli altri e della polis.
Ma il bello del cristianesimo è che ciascuno è invitato a sedersi a cena con Gesù e cibarsi di Bellezza, Giustizia, Felicità. Non ci sono graduatorie, privilegi dati dall’anzianità, dall’istruzione o dalla coerenza morale. Non si arriva a Cristo perché si è cambiati, ma perché si è bisognosi. Il soggetto nuovo comincia nell’incontro con Gesù. Il suo cambiamento diventa fattore del cambiamento intorno. “Tutto il mondo – diceva don Giussani – ha bisogno della nostra fede, che la nostra vita cambi per fede, che diventi morte e resurrezione di Cristo operante nella storia”.