Da Feralpi una lezione allo Stato

GRAZIANO TARANTINI ci racconta quanto accaduto in un’azienda bresciana, dove quarantotto giovani sono stati assunti a tempo indeterminato dopo un percorso di apprendistato

Quarantotto giovani assunti a tempo indeterminato al termine di un percorso di apprendistato professionalizzante. È una notizia singolare che di questi tempi buca la cappa pesante di negatività che accompagna i bollettini quotidiani sulla crisi e che vorrebbe costringerci alla rassegnazione. Ma è quanto è accaduto alla Feralpi di Lonato, nel bresciano, uno dei principali gruppi siderurgici italiani, guidato da un lungimirante imprenditore come Giuseppe Pasini che, oltre alla sua azienda, presiede anche la Federacciai di Confindustria.

Esattamente cinque anni fa è iniziato il progetto che prevedeva l’inserimento di alcune decine di giovani usciti dagli istituti tecnici della zona. Adesso, dopo un percorso impegnativo che li ha visti coinvolti in un programma di formazione che ogni mese alternava tre settimane sugli impianti e sulle linee di produzione a una in aula, sono pronti per l’ingresso a tutti gli effetti in azienda.

Si spendono molte parole e tanti convegni sul difficile rapporto fra scuola e mondo del lavoro. Spesso dal tono dei discorsi sembra più una preoccupazione che un’opportunità. In questo caso registro invece una novità anzitutto nell’approccio al problema. L’ha spiegato bene lo stesso Pasini: «Come impresa abbiamo ritenuto di prendere l’iniziativa facendo qualcosa di più di quanto normalmente avviene o ci viene richiesto».

Anziché lamentarsi, limitarsi a evidenziare un problema o attendere soluzioni dall’alto, ci si è mossi per dar vita a un’iniziativa che ritengo paradigmatica. E senza neppure aspettare incentivi pubblici, che non ci sono stati. C’era un bisogno concreto a cui rispondere, quello di un ricambio generazionale all’interno dell’azienda, e in funzione di questo si è messo a punto un progetto coinvolgendo nella sua realizzazione gli stessi lavoratori, i responsabili di reparto che hanno fatto da tutor ai più giovani.

Non si è scaricato un problema, lo si è affrontato usando l’intelligenza e facendo leva sulla collaborazione di tutte le parti interessate. La domanda è se allo Stato non convenga di più valorizzare e favorire percorsi di questo genere dove l’impresa mette in gioco la sua responsabilità, anziché alimentare un sistema e un apparato burocratico la cui unica preoccupazione non è sostenere la crescita, ma un controllo occhiuto e sospettoso di chi fa e rischia del proprio. Tra l’altro lo Stato stesso ne guadagnerebbe in termini di efficienza contribuendo a innescare un circuito virtuoso, con benefici anche quanto a risparmio di costi inutili.

Ma la vicenda della Feralpi è esemplare perché indica una direzione di marcia anche sotto un altro profilo: la formazione superiore, in cui si mettono insieme, con sistematicità, teoria e pratica, apprendimento e lavoro manuale, sarà infatti la sfida dei prossimi anni. La durata media di un ciclo produttivo oggi è di circa 6-7 anni e se non c’è formazione continua non si è più competitivi.

Come pensiamo di sostenere tale sfida? Solo mettendo in campo la responsabilità, il protagonismo di chi è coinvolto in essa sarà possibile vincerla. Abbiamo un esempio nel nostro Paese. Gli istituti tecnici che nel dopoguerra hanno sfornato i quadri del nostro sistema industriale sono nati dall’impulso e dall’iniziativa delle stesse imprese, poi è arrivata la burocrazia statale, questo legame si è affievolito, sino a farli diventare dei licei di serie B. Oggi è il momento di ricominciare.

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