C’è poco da discutere sui dati usciti dal voto europeo di ieri. La sentenza, per quel che riguarda il più atteso dei verdetti, è stata chiara: Renzi ha vinto e Grillo ha perso. Vedremo alle fine su quanto si asseterà la forbice, ma il Maalox che ieri il leader di Movimento 5 Stelle aveva con buon fiuto evocato per fare passare i dolori elettorali all’avversario, se lo dovrà prendere a gran dosi proprio lui. Grillo in queste ultime fasi della campagna era stato evocato come un’onda a cui tutti guardavano con un po’ di irrazionalistica paura, espressione di un’Italia pronta a fare il botto e a travolgere tutto e tutti. Così non è stato, e in un certo senso il comico genovese è stato vittima dei media che lui stesso ha sempre irriso. S’è fidato di un “sentiment” che era più nella testa degli osservatori che non nella volontà degli italiani. Il suo consenso resta ampio, ma è un consenso che se non riesce a produrre lo sfondamento evocato ad ogni pie’ sospinto, alla fine inevitabilmente si traduce in sconfitta.
Sull’altra sponda c’è invece il vincitore delle elezioni, che stando alle proiezioni avrebbe portato il suo partito ad un record storico (il massimo dei voti raggiunto dal Pd era stato il 33%, con Veltroni), e ad un record storico che davvero suona come uno “sfondamento” per restare nel linguaggio politico grillino. Ma qui c’è da chiedersi innanzitutto cos’abbia in comune il partito che Renzi ha portato a questo exploit con quello che abbiamo sempre conosciuto sino ad oggi. Probabilmente scopriremmo che sono due soggetti molto diversi, che Renzi ha scatenato una sorta di mutazione genetica in una formazione politica che sino ad oggi era inchiodata al grigiore dei riti della vecchia politica.
Il Pd di Renzi è un partito che ha abbattuto gli argini, che è probabilmente riuscito a pescare anche il voto impossibile per il vecchio Pd, il voto di tanti che sino ad oggi avevano sempre messo la loro croce sui partiti di centro destra. C’è del resto qualcosa del miglior berlusconismo nella decisione con cui si è scagliato contro i blocchi di potere intoccabili, contro le rendite al di sopra di ogni sospetto, che siano i sindacati, o la Rai, o i boiardi di stato con i loro stipendi a troppi zeri. «Di Berlusconi Renzi a suo modo ripropone l’epopea della rivoluzione liberale per il cambiamento dello Stato», aveva scritto Francesco Verderami sul Corriere qualche settimana fa. Renzi incassa anche l’apertura a quei segmenti di società nuova che la politica aveva sempre vergognosamente trattato in modo punitivo: la riforma del terzo settore lanciata poche settimane fa e pensata non come “restituzione di un dovuto” ma per dare spazio a una nuova idea di società, va proprio in questa direzione.
C’è un altro fattore che spiega il consenso ricevuto da Renzi e che supera probabilmente anche le contrapposizioni frontali del bipolarismo: il percorso avviato in questi mesi viene recepito come un qualcosa che può portare ad un rinnovamento e alle agognate riforme nella garanzia di tutti. Così ovviamente tutti ci auspichiamo che accada.
L’Italia con il voto di ieri ha detto infatti una cosa chiara: di non aver nessuna intenzione di seguire Grillo e il suo avventurismo spregiudicato. E ha fatto una scelta in controtendenza rispetto a gran parte dell’Europa: basti pensare che nel prossimo europarlamento su 750 eletti circa 200 non si riconoscono, con diverse sfumature, nel progetto europeo. L’Italia invece ha espresso una voglia di stabilità, un nuovo desiderio di tornare a costruire. Starà a chi ha vinto tener fede a queste aspettative.