MEETING/ I fatti oltre i pregiudizi

Il giornalista ALDO CAZZULLO commenta il Meeting di Rimini giunto oggi al termine della sua XXI edizione

La prima cosa che colpisce del Meeting sono i giovani. Questo perché chiunque lavori nell’industria culturale è alla disperata ricerca di giovani, e non li trova. Alla presentazione dei libri l’età media è di ottantasei anni; il che non è un male, anzi, preghiamo il Signore che ci conservi a lungo i nostri vecchietti lettori; ma di giovani se ne vedono sempre pochi.



 

I sondaggisti non riescono a capire per chi votino. Gli esperti di marketing si interrogano invano su cosa desiderino. Gli stessi sacerdoti e vescovi a volte faticano a parlare con loro. Invece al Meeting i giovani ci sono. A decine di migliaia. Gli adolescenti, i ventenni, i trentenni. La generazione X e la generazione Y.



Ci sono, e dimostrano che non è vero che i giovani sono disinteressati alla vita pubblica. Sono disinteressati al cicaleccio, alle contrapposizioni personali, alla lingua di legno dei convegni, dove si ripetono formule sulla formazione, la ricerca, l’innovazione per poi andare spensierati incontro a una realtà dove si studia, si ricerca, si innova poco.

Sono invece interessati, e molto, ai luoghi dove si discute su cose serie, ci si confronta, ci si dice francamente quel che si pensa. Sono anche disposti ad ascoltare cose difficili. “Tutti mi dicono che parlo difficile – ha sorriso il patriarca di Venezia Angelo Scola. Forse dipende dal fatto che tanti amano ascoltare solo quel che già sanno”. Ad ascoltare Scola c’erano diecimila persone, più altrettante davanti ai maxischermi.



Il Meeting di quest’anno si è concentrato molto sull’economia, com’era inevitabile nell’anno in cui si intravede la ripresa ma ancora non si è capito come uscire definitivamente dalla crisi e come evitare che si ripeta.

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Sono venuti tutti i ministri importanti. Molto meno rappresentata la sinistra: l’unico leader di peso in programma, Enrico Letta, non è potuto venire. Cl rifiuta di essere inquadrata nelle categorie politiche, e fa bene. La mia impressione però è che, rispetto all’anno scorso, la discussione sia stata più unidirezionale.

 

Interessanti le parole-chiave ascoltate: non si parla solo di diritti ma anche di doveri; passare dal Welfare State alla Welfare Society; costruire un nuovo patto sociale, basato sulla sussidiarietà e sull’interazione tra pubblico e privato. Sarà altrettanto interessante vedere se il governo avrà la volontà e la forza di far seguire i fatti. Nel frattempo portiamoci dentro il ricordo incoraggiante di queste giornate.

Personalmente sono rimasto colpito, come lo scorso anno, dal numero e dalla qualità dei volontari. Non credo esista in Europa un’altra organizzazione che possa disporre di giovani qualificati – ingegneri e architetti che montano e smontano la fiera, laureati in lingue che traducono, ecc. – pronti a prendere le ferie e lavorare gratis per un successo collettivo, che diventa anche fonte di soddisfazione personale.

 

Nel nostro tempo segnato dall’individualismo, questo ci ricorda che la soddisfazione dei nostri legittimi desideri individuali passa attraverso i desideri altrui. Ognuno di noi è importantissimo; ma senza gli altri non riuscirà a combinare nulla.

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