Nel giro di pochi giorni tra luglio e agosto il cahier de doléances sul tavolo del Ministro dell’istruzione si è fatto voluminoso: il reclutamento “facile”, ma, a quanto pare, vincente dei dirigenti scolastici dal Sud al Nord (in Lombardia 105 su 105 posti vacanti!), con il luminoso contributo dell’Avvocatura dello Stato – che ha dichiarata legittima la precedenza dei presidi incaricati, molto spesso reclutati per via sindacale (sponsorizzata e pour cause dai sindacati, compresi quelli dei dirigenti) rispetto ai vincitori di concorso ordinario; l’evidenza ormai pubblica che i voti degli esami di stato di terza media e di maturità al Sud sono gonfiati e che le eccellenze premiabili in denaro pubblico sonante sono fasulle; il blocco del PdL Aprea, unico progetto di riforma della scuola sul tavolo del Parlamento, dovuto al brusco disimpegno del Pd – nel quale le tendenze riformiste sono state sopraffatte da un immarcescibile conservatorismo – e all’intervento a gamba tesa della Lega; la classificazione delle Università, che vede quelle meridionali in coda.
Resta ancora aperto il bilancio finale della maturità: finora sono certe solo le cifre dei non ammessi, restiamo in attesa ai risultati definitivi. A questo cahier va aggiunto il rigetto crescente che la registrazione dei fatti sopra elencati provoca nell’opinione pubblica e in quella “pubblicata”. Esso nasce dalla constatazione che il sistema nazionale di educazione non è in grado di fornire una certificazione rigorosa e nazionalmente valida e omogenea dei livelli di apprendimento.
Quella del merito appare come una favola, buona per i comizi elettorali e per i comunicati stampa, ma il sistema è pervicacemente incapace di garantire la verifica del merito. Più si lancia il boomerang mediatico del merito – accendendo aspettative – e più esso torna in testa a chi lo ha lanciato, se nella realtà accade che là dove le competenze acquisite sono più basse – secondo le verifiche nazionali e internazionali – i voti sono più alti. La ribellione contro questa situazione non è solo del Nord: è di ogni persona e di ogni cittadino che al Nord, al Centro, al Sud abbia preso sul serio la centralità della questione educativa, della responsabilità personale e dell’accertamento del merito come presupposto per ogni aiuto e riconoscimento premiante. Sta divenendo insopportabile la doppiezza tra la scintillante propaganda e il grigiore della pratica quotidiana. Scalfari dichiara nel suo sermone domenicale che “l’Italia si sta sfasciando” e che la colpa è del razzismo e dell’antimeridionalismo della Lega. Ora, per aprire un inciso, della proposta di reclutamento dei docenti, formalizzata dalla Lega nell’art. 11 del PdL Cota e altri, ciò che appare criticabile è la pretesa che un “comitato di valutazione regionale” possa definire un’ennesima graduatoria per l’accesso all’albo regionale. Ma, soprattutto, che tale comitato possa far compilare un test con domande ricavate da una tavola di valori: lombarda, campana, sarda?
Ma qui l’errore non è il razzismo, ma il mini-statalismo di ritorno. Tu quoque, Cota? Solo un dirigente – rigorosamente valutato e ritenuto responsabile delle assunzioni del personale – coadiuvato da un Comitato di valutazione della scuola è in grado di giudicare, dopo un congruo periodo di prova, se l’insegnante è capace o no! Nessun altro! Tutto ciò si chiama autonomia, presa sul serio. Vedasi alla voce PdL Aprea! Quanto ai cortocircuiti ideologici del Vate laico, che ogni domenica recita l’Angelus dalla sede di Repubblica, essi coprono malamente una verità elementare autoevidente: che il modello di sistema educativo cavouriano-liberale, fascista, democristiano e comunista-sindacale, che ha trasformato fin dai primordi l’educazione in un pezzo fondamentale dello Stato amministrativo, non è più in grado di garantire le conoscenze e le competenze, la loro certificazione, l’eguaglianza delle opportunità, il riconoscimento del merito e delle eccellenze e, dulcis in fundo, neppure l’unità culturale del Paese. Sta implodendo. Innanzitutto nella coscienza del Paese. L’ultimo Rapporto di Alma Laurea dichiara fallito il sogno meritocratico, da realizzarsi attraverso la scolarizzazione di massa e il libero accesso all’Università. Di qui occorre ripartire.
Sappiamo bene da una recente inchiesta che molti genitori spendono di più per le sigarette che per l’istruzione dei loro figli. A loro il problema non interessa. Ma ai cittadini consapevoli che l’educazione è la posta in gioco fondamentale del Paese non bastano le denunce, le propagande ideologiche, i “gritos”, soprattutto se vengono da forze politiche che hanno responsabilità dirette di governo. Da queste ci aspettiamo la realizzazione dell’agenda delle innovazioni promesse. Niente altro. Come pensano di costruire un sistema nazionalmente cogente di valutazione interna e esterna dei ragazzi, dei docenti, dei dirigenti, delle scuole, visto il drammatico fallimento attuale? Le proposte sono arcinote. Perché non procedono? Forse per l’illusione, condivisa finora da tutti i Ministri dell’istruzione, di fare riforme in accordo con i sindacati?