Cristiani a rischio

L'avvio di un percorso di pace non può aspettare. A Damasco urge l'intervento della comunità internazionale. Sia per i cristiani, sia per gli equilibri geopolitici dell'area. Di MARIO MAURO

La scorsa settimana, durante il suo viaggio in Libano, Benedetto XVI, parlando della Siria ha affermato che, “invece di importare le armi che è un peccato grave, dovremmo importare idee di pace, creatività, trovare soluzioni per accettare ognuno nella sua alterità“. Nell’Esortazione apostolica post-sinodale sul Medio oriente, firmata sempre durante la sua visita a Beirut, il Papa ha parlato anche della libertà religiosa e del ruolo dei cattolici in Medio Oriente. “I cattolici del Medio Oriente, che in maggior parte sono cittadini nativi del loro paese, hanno il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita della nazione, lavorando alla costruzione della loro patria“, ha detto, e “devono godere di piena cittadinanza e non essere trattati come cittadini o credenti inferiori“.



Fino allo scoppio della guerra civile che sta massacrando l’intera nazione, la Siria è sempre stata un Paese nel quale i cristiani hanno goduto di uno standard di libertà e sicurezza molto elevato: sono una comunità molto grande, che corrisponde al 10% della popolazione. Ma la guerra e il rischio di una deriva integralista mette a repentaglio la loro incolumità. Quando Bashar Al-Assad soccomberà e verrà costretto a farsi da parte, si prospetta un futuro ricco di insidie e con una sola certezza per i cristiani siriani: quella di vedere completamente stravolto un equilibrio faticosamente raggiunto e che garantiva una convivenza pacifica con le altre confessioni religiose.



Sono già parecchie le testimonianze provenienti da diverse zone della Siria, di violenze e soprusi da parte dei ribelli contro le comunità cristiane. Il mondo occidentale deve spingere per una pace vera, che non escluda nessuno. Giustamente i cristiani siriani tengono a difendersi dall’accusa di essere sottomessi ai regimi autoritari, come ha dichiarato nei giorni scorsi il vescovo di Aleppo Antoine Audo. “Si tratta di critiche ingiuste e infondate“, ha detto. “Anche tra i cristiani ci sono tanti che sperano in un cambiamento che porti davvero a una maggiore libertà. I cristiani sono in gran maggioranza gente semplice, esposta a tutte le violenze. Conoscono la realtà del Paese e aspettano di vedere cosa accadrà. Come ha detto anche il Patriarca maronita Béchara Boutros Raï, non vogliono difendere nessun regime. Desiderano solo vivere nella pace, nella libertà e nel rispetto reciproco, lontano da ogni estremismo. Ma questo è un discorso che adesso molti non vogliono ascoltare“.



Occorre che la comunità internazionale, coinvolgendo i paesi vicini che hanno già dimostrato di volere una soluzione condivisa, garantisca una transizione pacifica ed effettiva verso la democrazia, che risponda alle legittime richieste del popolo siriano e si basi su un dialogo inclusivo che coinvolga tutte le forze democratiche e le componenti della società siriana, incluse le minoranze etniche e religiose.

Da diversi mesi decine di migliaia di profughi siriani cercano rifugio in Turchia, un Paese che sta svolgendo un ruolo molto importante a livello internazionale nell’opposizione alla violenza in Siria. La gravissima situazione in Siria sta già avendo un impatto negativo sulla situazione in Giordania e sulla situazione politica e sociale in Libano. Non è difficile immaginare che avrà ripercussioni sull’intera regione, con implicazioni e conseguenze imprevedibili. Chi spera che la caduta del regime di Assad metterà le cose a posto ignora che la guerra in Siria non è soltanto frutto della volontà di una parte della popolazione di vivere finalmente in democrazia.

L’avvio di un percorso di pace non può aspettare: servono profonde riforme democratiche, serve tener conto della necessità di assicurare la riconciliazione nazionale, serve un impegno comune a garantire il rispetto dei diritti delle minoranze, come quella cristiana, senza le quali sarebbe impossibile la convivenza. I governi occidentali dovrebbero valorizzare il contributo dei cristiani, che ancora oggi in Siria, nel mezzo della guerra, sono un punto di riferimento per i profughi di ogni etnia e religione, come testimoniato dall’accoglienza esercitata dalle chiese nei confronti di coloro che fuggono dalle città dove divampa la guerra civile.

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