L’inferno dopo Gheddafi

L’uscita di scena di Gheddafi rende ancora più evidenti le divisioni all’interno di quel crogiuolo di tribù che è la Libia. Ora il compito più importante spetta alla Comunità internazionale

L’uccisione di Muammar Gheddafi, e soprattutto il modo in cui è avvenuta, è forse la più evidente delle contraddizioni legate alla vicenda libica e al ruolo avuto in essa da molteplici attori. “Non escludo che la situazione nel Paese possa evolvere verso una battaglia politica le cui regole non sono ben definite e che potrebbe portare a breve la Libia nel caos. Siamo passati da una battaglia nazionale a una politica che non dovrebbe aver luogo prima di fondare un nuovo Stato. Passare dalla guerra civile al caos ci metterebbe di fronte a uno scenario terrificante, non nascondo di temere una lotta tra le varie tribù, le regioni, gli islamici e lo stesso Governo della liberazione”. Queste sono le parole del Capo del Consiglio nazionale di transizione Jibril, che ha anche più volte dichiarato di voler lasciare il suo incarico: “La battaglia politica richiede soldi, potere, organizzazione e armi, io non ho niente di tutto questo”. È chiaro come l’uscita di scena di Gheddafi possa rendere ancora più evidenti le divisioni all’interno di quel crogiuolo di tribù e fazioni che è la Libia.



Nulla è scontato. La caduta del dittatore rappresenta un contraddittorio successo per la Comunità internazionale e per l’Europa, nessuno ora si conceda il lusso di considerare un cammino in discesa il processo di transizione della Libia verso la democrazia. La Comunità internazionale, e soprattutto l’Unione europea, ha ora un’enorme responsabilità nei confronti del popolo libico. Quello di favorire la riconciliazione nazionale deve essere il primo obiettivo da raggiungere in tempi brevi. Occorre costruire in fretta istituzioni che tengano conto della frammentazione politica e culturale presenti in Libia. L’Unione europea ha oggi il dovere di aumentare la propria influenza in Libia per una pace che abbia come punto di partenza il ritorno al rispetto dei diritti umani.



Il sistema politico della Jamahiriya, il “regime delle masse” creato da Gheddafi dal 1975, era evidentemente soltanto uno slogan senza significato. Di fatto, era una dittatura in cui una persona sola prendeva tutte le decisioni. La grande sfida di questo Paese è oggi quella di costruire istituzioni capaci di coinvolgere i cittadini e di giungere nel più breve tempo possibile a elezioni. Adesso Unione europea e Nazioni Unite si mettano a disposizione della nuova Libia per aiutarla nell’edificazione della democrazia nel Paese, senza voler imporre qualcosa che può arrivare soltanto dalla volontà e dal desiderio di libertà di un popolo oppresso da quattro decadi.



Il Consiglio nazionale di transizione dovrebbe ora garantire al proprio popolo ciò che il dittatore Gheddafi ha sempre negato: il rispetto di quei diritti fondamentali che il vento della primavera araba ha promesso di portare sulla sponda sud del Mediterraneo. Già qualche tempo fa il Presidente del governo provvisorio Jalil ha annunciato che la Libia vuole essere un Paese musulmano moderato con una costituzione che rifletta questo stato di cose. Credo che questo sia un aspetto cruciale, non solo per il futuro della Libia, ma anche per il futuro di tutto lo scenario dei paesi dell’area mediterranea.

L’Europa deve passare al comando in Libia. Non certo per dire ai libici come scrivere la propria Costituzione, ma semplicemente per ripetere loro ciò in cui crediamo, che è a fondamento delle nostre Costituzioni e del nostro modo di intendere la democrazia.

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