Una ricerca sociale ci dice che gli Italiani sono tornati forcaioli: ben sette su dieci, virgola più virgola meno, si dicono favorevoli alla penalizzazione dell’evasione fiscale.
È però difficile sondare il pensiero di un Paese nel quale, da secoli, nascondere il vero è considerata quasi una virtù. Dovremmo forse concludere che gli evasori fiscali, gli impuniti, i magna-magna fanno parte tutti di quei tre che si dichiarano contrari alla galera per chi evade? Non scherziamo: qualunque evasore incallito, se interrogato in materia, è pronto a dichiararsi a favore della massima severità nelle sanzioni.
L’antropologia (così come la psicopatologia) di un Paese è determinata dalle sue vicende storiche. Uno studioso di cose russe sa, per esempio, che la sindrome d’assedio dovuta alla lunga dominazione tartara ha avuto una parte decisiva nella formazione della mens russa.
Ora, se ci domandiamo quale possa essere stato il sentimento dominante degli Italiani lungo la Storia, la mia risposta – ben documentata, in svariatissimi accenti, dalla nostra letteratura – è che si tratta di un sentimento d’instabilità profonda, misto a una certa capacità (di origine tutta latina) di adattamento alle circostanze.
L’Italiano ha sempre temuto di perdere ciò che aveva, poco o tanto che fosse, e questo l’ha sempre spinto a cercare, a proprio vantaggio, il favore dei potenti che, date le vicende storiche e la particolare conformazione del territorio, tendevano a radicarsi localmente, su aree ristrette.
Dire la verità non è la prima delle virtù, in Italia. È sempre necessario non dispiacere a chi ci può giovare, ossia soprattutto ai potenti. I quali, da parte loro, non possono sperare dai governati altro che un po’ di sottomissione, perché sanno che la loro deferenza è interessata. Sì è stabilita in questo modo una duplice finzione, che ha sostanzialmente regolato, con poche variazioni, il rapporto, in Italia, tra governanti e cittadini. Ciascuno ha bisogno dell’altro, ma al tempo stesso lo tiene in sospetto.
Dire la verità, in questo contesto, è dunque un lusso. Del quale noi Italiani abbiamo fatto uso sempre con molta parsimonia.
Così, è probabile che, a seconda del contesto in cui le domande ci vengono rivolte, diventiamo tutti forcaioli, oppure tutti indulgenti. Il lavoro di chi elabora i dati non è tanto quello di definire le percentuali, quanto di confrontarle con campioni analoghi di altre ricerche, compiute negli anni passati, e riuscire a leggere infine il vero senso delle variazioni.
Che, per esempio, siamo diventati tutti forcaioli, si può spiegare facilmente con l’osservazione che oggi in Italia comandano le banche, e che la soluzione che le banche (ossia il potere) auspicano per la soluzione finale del problema dell’evasione fiscale è quella di abolire il denaro contante.
Quando direte al vostro bambino: “Gigetto, vai giù alla bottega della signora Alice a comprare un barattolo di pelati”, dovrete perciò dargli la carta di credito e non due monete (tranquilli, scherzo: quel giorno non ci sarà più nemmeno la signora Alice…).
Questo consentirà, dicono le banche, la completa tracciabilità di tutti in nostri movimenti finanziari, eliminando qualunque possibilità di “nero”.
E visto che i telefoni cellulari sono a loro volta telefoni sotto controllo, possiamo concludere che l’esercizio di un completo controllo sul cittadino − su quello che spende, dice o fa − è la sola prospettiva ragionevole per un futuro tecno-nichilista (come lo chiama Mauro Magatti) in cui l’essere umano sarà, semplicemente, inutile.
All’impiegato di banca che mi presentava l’ideale della tracciabilità come il Radioso Avvenire dell’umanità (si tratta, se ci pensate bene, di un ideale molto marx-leninista, basta sostituire alla Dittatura del Proletariato le Carte di Credito: si tratta sempre di un messianismo che indica l’uscita finale dall’inferno della Storia e la riconquista dell’Eden) ho ricordato che per sconfiggere l’evasione basterebbe introdurre quello che in realtà nessuno vuole: la Patrimoniale.
Con la pressione fiscale che ci ritroviamo, l’introduzione della Patrimoniale finirebbe (certo, non subito), per alleviare il peso di chi è vessato, visto che, finalmente, dovrebbero pagare tutti.
Ma chi la vuole, la Patrimoniale? Il solo nominarla produce la sconfitta elettorale per chiunque.
Eppure questo Paese ha ben sperimentato un modo diverso di intendere il rapporto tra i cittadini e la Cosa Pubblica! L’ha detto l’altro ieri Lorenza Violini molto meglio di come posso dirlo io. L’insistenza sul controllo e sulla tracciabilità è ancora il segno di quella sfiducia sospettosa di cui si diceva prima. Si continua insomma a leggere l’Italia secondo quel vecchio cliché. E di conseguenza si pensa che una messa a punto ottimale del meccanismo di controllo produrrebbe automaticamente uomini morali.
Qui sta l’orrore. Nella vecchia idea che la moralità pubblica sia un prodotto del buon funzionamento del sistema, e non dell’educazione morale della persona.
Esiste una ragione molto concreta per cui tanti amici, in questi anni (penso all’ultimo Meeting di Rimini, ad esempio), hanno insistito sulla centralità dell’io, parlando di “tempo della persona”. La ragione è che proprio l’io, la persona, è quanto oggi viene messo in pericolo. Non tanto con la violenza sanguinaria (quella, la si lascia volentieri ad altri popoli, ad altre culture, come se il genocidio appartenesse alla cultura, che so, dei Keniani o dei Nigeriani), ma con la nullificazione della persona umana dentro un mare di registri e protocolli.
Di fronte a questo, fa sinceramente sorridere questa nuova tendenza forcaiola. Certo, siamo tutti stufi marci di questo andazzo, degli scandali in cui molti potenti danno il loro triste balletto finale. Ma non crediamo troppo (e per fortuna) in questa improvvisa ondata di irreprensibilità. È spaventoso anche solo pensare che metà degli Italiani sia disposta, per vendetta, a sgozzare l’altra metà. Le purghe hanno spesso inaugurato periodi ancora peggiori di quelli che si chiudevano.
Perciò preferisco pensare a una nuova bugia di un popolo geniale, un po’ bastardo ma in fondo buono e ricco di valori − questo noi siamo, al di là di tutto − che parla così solo per potersi pagare qualche altro giorno di salvezza in un Paese in cui ogni giorno sembra addensarsi sopra le nostre teste un nuovo uragano.