Cinque domande a Berlusconi

Berlusconi ha ottenuto la fiducia in Parlamento, ma il premier e il governo vorranno attuare il programma per cui sono stati eletti?

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La fiducia ottenuta in Parlamento da Silvio Berlusconi ha consentito al Governo di assorbire il trauma della scissione di Futuro e libertà e ha permesso di allontanare, come era nell’auspicio dei più e come necessita il Paese, almeno per il momento, la prospettiva delle elezioni anticipate. Nello stesso tempo, ha però riattualizzato l’eterna domanda che accompagna i governi a matrice berlusconiana: il premier e il governo vorranno attuare il programma per cui sono stati eletti?



La domanda risuona particolarmente attuale perché il programma dei 5 punti, e alcune sottolineature in particolare, risultano di grande interesse per chi non fa della libertà uno slogan vuoto, ma la intende come libertà di costruire per il bene comune secondo i reali bisogni della gente, non mercificati, non dialettizzati come nei talk show, non banalizzati in un moralismo distruttivo “grillino”, “dipietrista” e di cattolici sottomessi a radicalismo chic.

Il premier ha parlato di quoziente familiare, di sussidiarietà e di federalismo fiscale, ha sottolineato i temi della libertà di educazione e della scuola, ha ricordato le infrastrutture necessarie per ammodernare il Paese. Si è preso l’impegno per interventi che sosterranno le grandi imprese di costruzione e daranno lavoro; ha sottolineato il ruolo fondamentale del Parlamento lasciando le porte aperte alla mediazione e ai contributi delle forze della coalizione e anche dell’opposizione; ha detto di voler fondare la nuova azione di governo sui programmi, senza dare alcuno spazio a rancori.



É un piano importante e condivisibile che, per essere attuato, però, chiede, su molti punti, una forte inversione di tendenza rispetto al passato. In questo Governo, come nei precedenti del centrodestra, la principale misura fiscale è stata l’abolizione dell’Ici, ma non gli sgravi per le famiglie. Riguardo all’istruzione non è stato mosso un dito per favorire l’effettiva parità delle istituzioni educative non statali, per renderle concorrenziali con le strutture pubbliche e vantaggiose per i conti dello Stato (anzi per due volte, nelle bozze di finanziaria 2008 e 2009, erano stati tagliati i finanziamenti per centinaia di milioni di euro alle scuole libere, ripristinati soltanto grazie a una forte mobilitazione di famiglie, politici e istituzioni). Di sussidiarietà, se non in alcuni interventi sul mercato del lavoro nel Libro Bianco del ministro Sacconi e in alcune enunciazioni ancora da attuare nel federalismo fiscale, non se ne è vista molta (per usare un eufemismo).

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Per ciò che concerne le imprese, a fronte di molti proclami, hanno latitato gli interventi a favore della miriade di piccole e medie imprese, che costituiscono l’ossatura del nostro sistema economico, sono stati solo annunciati provvedimenti per sburocratizzare le procedure, mentre, il provvedimento per il made in Italy si è inceppato a Bruxelles. E per le infrastrutture vige la confusione: i “no-TAV” imperversano in Val di Susa e non si ha ben chiaro se sia prioritario il secondo binario su gran parte della rete ferroviaria o un faraonico ponte di Messina.

 

Ottenuta la fiducia, è giunto (di nuovo) il tempo per il Cavaliere di onorare gli impegni presi. Le incertezze precedenti non sono certo casuali. Piuttosto dipendono dall’impreparazione e dalla grave ambiguità culturale di parte della coalizione che, non solo nella componente finiana, è di fatto su posizioni radicali di destra, lontane da uno sguardo realista a ciò che capita nella vita sociale ed economica; dall’indecisione con cui sono condotte battaglie continuamente annunciate, come la riforma di una giustizia, inefficiente e pachidermica, lontana dalle esigenze della gente e inquinata da settori della magistratura ridotti a ideologica parte politica.

 

La domanda che si impone è: se non lo ha fatto finora, Berlusconi, attuerà, nel tempo che gli rimane, il programma che si è prefisso? La strada per farlo è approfondire la teoria e perseguire la prassi della “Big society” che si fonda su libertà e sussidiarietà e che è il programma attuato, con grande consenso popolare, in certe Regioni (vedi Lombardia) e che è divenuto il programma innovativo di David Cameron. Il premier deve accettare che un partito e una coalizione che si ispirano alla libertà non possono essere né onnivori, né di plastica, ma devono allearsi con chi esprime le energie più vitali, più originali e più radicate nella realtà sociale del nostro Paese e da sempre hanno come obiettivo il bene comune: tutte quelle realtà della società civile che ancora rappresentano lo zoccolo duro, positivo dell’Italia. A queste condizioni, ma solo a queste, si può evitare un altrimenti inevitabile declino.

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