Oggi inizia la primavera e, contemporaneamente, comincia la Settimana Santa. Quanto al primo fatto, è facile immaginare che un qualche scossone ce lo provochi, magari solo la ripercussione fisiologica, con gli inevitabili strascichi psicologici, di un ciclo che si riavvia. Scossone che il riduzionismo imperante ci ha insegnato a tenere a bada; e che diamine! non facciamo i romantici: il fiorire del desiderio, lo sbocciare dell’amore, quel presentimento di rinascita e quel languore carico di attesa è tutta questione di ormoni e neuroni che si scombussolano per un po’ e poi si rimetteranno a posto.
Quanto invece alla Settimana Santa è molto più probabile che passi sostanzialmente inosservata. Per i più sarà identica alle altre cinquantuno dell’anno, forse solo col fastidio delle scuole che chiudono prima – chissà perché? – e i figli da sistemare; sempre che, lungimiranti, non abbiano provveduto a prendere ferie per organizzare qualche giorno sulla neve che oramai – o tempora, o mores! – viene a Pasqua invece che a Natale. Per chi si ricorda ancora cosa succede in questi giorni – e magari vagamente ci crede – è una settimana con qualche liturgia in più (di solito percepita con leggero fastidio per l’inusitata lunghezza e la stranezza dei riti) e, forse, occasione per quello strano tra i riti strani che è andare da un prete a raccontare i fatti propri, in specie quelli di cui si vergogna un po’ e che da piccoli si è imparato a chiamare peccati.
Grazie al cielo conosco molti per cui, invece, nei prossimi giorni avviene un rivolgimento tale che quello della natura a primavera è niente in confronto; gente per cui i fatti ricordati nella liturgia non sono il ricordo di un passato così remoto da sprofondare nel mitologico, ma eventi che si ripropongono nel presente. Sembra impossibile eppure proprio questa è la pretesa che sta incorporata nella parola cristiana «memoria».
Ieri Gesù è stato osannato per le vie di Gerusalemme e il cristiano che vive la memoria vede bene come al Cristo vivente oggi, la Chiesa, vengono sventolate palme di elogi così falsi che si prevede facilmente che si trasformeranno in crucifige. Vede quella donna non proprio integerrima chiamata Maria che piange ai piedi di Cristo e il discepolo integerrimo (ancora per poco) che s’inalbera in nome della giustizia e sente la risposta del maestro; allora capisce che razza di rivoluzione di criteri è la misericordia per la quale si sta celebrando un anno speciale. Vede quella stanza poco illuminata dove, durante una cena velata di tristezza, Gesù pronuncia un lunghissimo discorso e – ricordando quella volta in cui gliel’hanno commentato in modo tale che improvvisamente l’ha sentito rivolto a sé – anche quest’anno aspetta di riascoltarlo perché sicuramente ci sarà qualcosa di specificamente riguardante lui.
Vede Gesù nell’orto degli ulivi e la sua angoscia e sa che in essa c’è compresa anche quella che prova lui adesso. Vede il dramma dell’arresto, del processo, della tortura, fino alla via crucis e alla morte e sa che non si tratta di un simbolo dell’universale sofferenza umana, ma che Cristo patisce ancora oggi, lui nel suo corpo, lui nei cristiani perseguitati che mai sono stati così tanti, lui nell’amico in crisi depressiva o in quello che ha il tumore.
Vede Gesù nel misteriosissimo silenzio del sabato e trepidante aspetta che, proprio nella notte tra sabato e domenica prossimi, gli annuncino, tra lo scampanio di chierichetti emozionati, che Gesù è risorto. Oggi.