La fede e le nostre domande

JONAH LYNCH racconta la sua gratitudine alla Chiesa perché, a differenza dei maitre a penser, di fronte al dramma della vita non ci abbandona alla nostra miseria chiedendoci di dimenticare

Avete presente quelle domande impossibili che fanno i bambini? “Cosa c’era prima della creazione?”. “Perché la nonna è morta?”. “I cani vanno in cielo?” … Di solito davanti ad esse noi grandi diciamo qualcosa di imbarazzato, e cambiamo discorso.

Ma quelle domande tornano, in forme ancora più drammatiche. Un prete le incontra continuamente. Qualche giorno fa, una signora che non conosco mi ha scritto una lettera in cui mi descriveva i suoi problemi familiari. Era una montagna di problemi, a cui non riusciva più nemmeno a immaginare una soluzione. Lei, con le spalle al muro, concludeva con una domanda bruciante: “Cosa mi permette di abbracciare la croce? Perché mi ribello e continuamente dico a Dio: Ma mi senti? Mi vedi? Dove sei? Ho pregato moltissimo, e adesso faccio fatica persino a pregare”.

Cosa si può rispondere a una domanda del genere? Un po’ si capisce come una volta lo scrittore Augusto Guerriero abbia potuto rispondere, a un lettore similmente accorato, con freddezza disumana: “A lei bisognerebbe parlare di altre cose ed io non scrivo mai di quelle altre cose, anzi non ci penso ed è appunto per non pensarci che scrivo di politica e di faccende di cui, in fondo, non mi importa niente. Così riesco a dimenticare me stesso e la mia miseria”.

Come sono grato alla Chiesa, che non ci abbandona cinicamente nella nostra miseria, dicendoci di dimenticare. Come sono grato ai miei padri e maestri, che mi hanno dato qualche parola vera, qualche gesto utile, persino davanti a un cumulo di problemi insolubili. Così ho potuto scrivere a quella signora: “Innanzitutto pregherò per te, per tuo marito, e per tua figlia. È la cosa più utile che so fare. Ti consiglio di portare questo tuo buio e dolore come offerta all’altare della Messa. Porta tutto ciò davanti a Dio e chiedi a Lui di farne ciò che vuole. Con il pane e il vino, ‘frutto della terra e del lavoro dell’uomo’, offriamo ogni lavoro, ogni dolore, ogni gioia. Lui prende tutto questo e lo fa diventare il corpo di Cristo.

Non ti preoccupare se non sei capace di abbracciare la croce. All’inizio neanche Lui la voleva abbracciare, e i suoi più cari amici sono scappati da quel momento terribile”.

“Guarda semplicemente a Lui, steso su quel legno, che ha patito prima di te ciò che tu stai vivendo, e ti aspetta anche nel più fondo buio del tuo dolore. Lui c’è anche lì. Non ti preoccupare se non lo capisci, se ti ribelli, se sei terribilmente stanca di tutto ciò. Guarda a lui, chiedi a lui di portare te, offri il tuo dolore con il suo per la salvezza del mondo, cioè di tua figlia.

 

Parla anche con Maria. Lei conosce molto bene il dolore che tu vivi, e ti può aiutare a portarlo. È donna, madre, sposa, come te. Chiedile una mano.

 

Non c’è nulla che può ‘risolvere’ la tua situazione. Non ci sono parole magiche. E anche la terribile domanda che a volte nasce in te, ‘cosa ho fatto di sbagliato?’, non ha risposta. Qualcosa forse potevi fare di diverso, ma ormai è fatto, e comunque il problema vero è vivere adesso. Per questo, se non riesci a pregare, almeno offri quello che hai. Offri tutto nelle mani di Cristo, e chiedi a lui il miracolo di convertire tutto ciò in qualcosa di buono, di lieto”.

 

In questo anno della fede che inizia, rendiamo grazie per il dono della Chiesa, il luogo dove possiamo imparare ad amare, a credere, a sperare.

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