L’ultimo a parlarci, di venerdì, fu una brutta canaglia, un birbante incrociato ai bordi del patibolo, dell’infamia: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno“. Il birbante sferrò l’ultima botta, l’Uomo sfornò l’ultima risposta: “Oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,42-43). Un botta-e-risposta alla luce del sole, nonostante attorno si fosse fatto buio pesto. La prima a parlarci, di domenica, fu una sgualdrina esperta, donna d’amori, d’intrallazzi: “Hanno portato via il mio Signore“. Incrociato Dio-Risorto nel giardino, lo confonde con il giardiniere: “Se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto, andrò a prendermelo“. Il finto-giardiniere: “Maria!“.
Anche di domenica, come di venerdì, fu botta-e-risposta: “Rabbunì” (Gv 20,15-16). Il brigante venerdì, la mala-femmina domenica: nel frammezzo — nel mezzo di ciò che rimarrà cammino di ogni altra vita perduta — le luci risorte della Pasqua. Pur mostruosa, ad apparire scandalosa non fu mai la Croce: a destar scalpore fu la Risurrezione, parola promessa-e-mantenuta. Un raddoppio di strepitio fu, nei secoli a seguire, quando nessuno più riuscì a sostituire la teca che custodisce quel capolavoro: la Grazia Risorta incastonata nella disgrazia redenta. Un ladrone e una sgualdrina, in mezzo il Risorto: gli architravi di calcestruzzo sono tutti crollati, il capitombolo della Croce solo gli stecchini di legno l’hanno retto. L’aveva predetto in tempi non sospetti, quando credergli era follia, quasi-salvezza: “Il nostro peccato — ne fa memoria papa Francesco — diventa quasi un gioiello che gli possiamo regalare per procurargli la consolazione di perdonare”. Dopo Pasqua, a leggere certe parole varrà bene ricordarle d’averle lette: per non dimenticare come si diventa signori. Dei santi.
Spente le luci della ribalta di Gerusalemme — luci che furono miracoli di ossa raddrizzate, di pani moltiplicati, di occhi riposizionati — a fuggire furono in tanti, troppi, “quelli previsti” direbbe il Cristo. A resistere, verrebbe da ribattergli, furono quelli-non-previsti: una ciurma di femmine, uno stuolo di miserabili, la carta-bagnata di Maddalena, non il cemento-armato di Pietro. Stette, resistette, chi mostrò d’avere sguardi profondi, occhi d’aquila. La Risurrezione, ultimo atto di una storia ancor in fase di scrittura, s’innestò dentro una storia che mai mutò il suo stile: gli inizi sono sempre piccoli inizi. E’ caratteristica dello Spirito, sin dal giorno in cui mise incinta Maria: “Diventa uomo ma in modo da poter essere ignorato dai contemporanei, dalle forze autorevoli della storia — scrive Joseph Ratzinger nel suo Gesù di Nazareth —. Patisce, muore e, come Risorto, vuole arrivare all’umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta”. Ieri, oggi, anche domattina, “di continuo egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di vedere”.
Nella grande storia, innesta la sua storia, la piccola-grande storia di un Dio ch’era nato per fare il giardiniere: per fare innesti. Aveva visto giusto Maddalena: “Sei stato tu a sistemare il mio giardino. Sei un giardiniere!” Anche l’altro aveva visto giusto: “Oggi che nessuno sembra accorgersene, io m’accorgo che tu sei Re per davvero. Fai un pensierino per me, stasera. Accendimi una candelina”.
Migliaia di anni fa, suo Padre li trovò in Egitto che strisciavano come bisce, ventre a terra “in una landa di ululati solitari“. A quel tempo, il Padre decise di petto e di getto il daffarsi: “Lo circondò, lo allevò, lo custodì come la pupilla del suo occhio” (Dt 32,10). Ci mise la faccia nel buio di quegli anni, promettendo che le ore erano contate, mica gettate alla rinfusa. Nei secoli a venire, i perdenti e le donne — che a quel tempo erano perduteagli occhi maschi — dettero credito al Figlio, oltreché al Padre: l’attesero per tutto un sabato-di-silenzio. Risorto, da tutta quella compagnia-disgraziata estrasse la cornice per l’impresa della storia, la Risurrezione: “Non è qui. E’ risorto” (Mt 28,6). Chi s’è visto, s’è visto.