Un amico mi ha mandato recentemente un editoriale di Leon Wieseltier, redattore letterario di The New Republic, il settimanale considerato la voce più autorevole del progressismo americano (del pensiero di sinistra). Wieseltier è un pensatore ebreo americano che, come molti altri intellettuali ebrei americani, sta cercando di comprendere meglio l’importanza della propria identità ebraica, dopo una vita di pensiero secolarista. Nell’editoriale citato, Wieseltier descrive la “ideologia politica di Manhattan”, come viene chiamata da chi vi aderisce.
Wieseltier parte dalla descrizione fatta dal direttore di The New York Times Magazine dell’ideologia della rivista: “Chiamiamola pure ‘moderno urbano’. Penso che non rifletta una ideologia politica di destra o sinistra, ma piuttosto una di tipo geografico, la mentalità del posto dove è stata creata, la Manhattan del ventunesimo secolo… un posto dove le donne hanno ambizioni professionali, dove gli immigrati sono i benvenuti e dove gay e lesbiche possono essere se stessi (a parte, per ora, lo sposarsi)… un posto dove essere ricchi non è una brutta cosa, la moda non è segno di superficialità e dove l’individualismo è ben accolto. Qui, il discutere non è cattiva educazione. Qui, il modo principale di amare la tua città natale è di criticarla, per esempio perché non fa abbastanza per i più deboli (bambini, poveri, senzatetto). Qui, dell’arte non si parla mai in termini morali e della maggior parte degli aspetti della vita di ogni giorno – il mangiare, il bere, i sanitari – si discute essenzialmente in termini estetici… e sono soprattutto quelli che vogliosi vengono da fuori a far di questo posto ciò che è. Più in generale, siamo il riflesso di un luogo dove il cambiamento non è una minaccia, dove il dubbio e la complessità sono più veri della certezza e dove viene tollerato quasi tutto ciò che non è criminale, tranne un cattivo taglio dei capelli”.
Qui di seguito alcune delle osservazioni che Wieseltier fa a questa ideologia culturale di Manhattan: questo modo di pensare non dà nessun spazio a “dissenso e serietà.” Questo “gioiello antropologico… rappresenta invece una fuga da entrambi. Moderno urbano? Questa non è ideologia, è interior design, progettazione di interni… quanto viene qui celebrato è l’ideologia della non ideologia, l’ascesa di una (della) visione del mondo che può essere succintamente descritta come ‘mangiare, bere e sanitari’. Ciò che muove di più un cuore simile (a parte bambini, poveri e senzatetto) sono amenità e banalità, l’attribuzione di importanza a ciò che importante non è: segno di decadenza, di deviazione cognitiva in persone che vivono “soprattutto in termini estetici”, poiché si sono garantiti materialmente – o così vogliono credere – contro filosofia e dolore. Vivono per la leggerezza e la distrazione, il ridere è per loro segno di fortuna, si assolvono dai loro obblighi intellettuali con le opinioni…”.
Credo che Wieseltier abbia ragione in questa sua descrizione dell’ideologia di Manhattan e dovrebbe essere tenuta presente dai nostri lettori fuori dagli Usa quando gli viene detto che questo è il pensiero attuale degli intellettuali americani (di sinistra). Si notino le parole chiave del giudizio di Wieseltier: una “ideologia della non ideologia”, una “dissonanza cognitiva”. Si tratta di una conoscenza della realtà nella quale “l’opinione” sostituisce la lotta per la “certezza”.
Tutto ciò è diverso da quanto ho definito una ricerca di Obama per la certezza dentro il relativismo stesso. Qui vi è speranza di poter sfuggire alla riduzione della ragione, mentre non vi è nessun punto di fuga “nell’ideologia di Manhattan”, descritta dal direttore di The New York Times Magazine e compresa così brillantemente da Wieseltier.