Per l’America suona la campana della diseguaglianza

Negli Stati Uniti continuano ad aumentare le disuguaglianze e a New York si cerca di rilanciare le politiche di solidarietà verso gli ultimi. GIANNI CREDIT

Lunedì, Martin Luther King Day, il New York Times è uscito con un lungo servizio sugli interventi d’emergenza del Police Department nelle metropolitane della Grande Mela, invase dagli “homeless” dai giorni del grande gelo. Il sindaco Di Blasio ha dato direttive precise: niente ordine pubblico, solo assistenza. E ai “cops” è stato detto di informare i senzatetto, per quanto possibile, delle opportunità di prima accoglienza e di supporto anche oltre l’emergenza. Un embrione improvvisato di rilancio delle politiche di solidarietà di fronte a fenomeni di emarginazione che crescono a vista d’occhio: nel 2017, secondo prime stime, i senza casa censiti a New York sarebbero raddoppiati fino a superare i 50mila. 

Può essere facile — e in parte non infondato — far coincidere la tendenza con l’avvento di Donald Trump: “tycoon” newyorchese con casa sulla Quinta Strada, fresco riformatore fiscale all’insegna del taglio delle tasse, bilanciato (anche) dal taglio dei bonus per le famiglie a più basso reddito. Certo, nel discorso politico-economico del presidente sembra molto sbiadita l’attenzione ai “forgotten men” cui si era rivolto la notte della vittoria, nel novembre 2016: gli americani dimenticati, lasciati indietro o addirittura spazzati via nelle mille battaglie quotidiane della globalizzazione. 

A Capodanno i dipendenti di WalMart, Fca e di altri colossi si sono sentiti annunciare bonus retributivi di mille o duemila dollari all’anno come ricaduta immediata della svolta fiscale di Trump: ma non sono questi i veri “forgotten” che vagano più numerosi per le città americane. Dove la disuguaglianza resta elevata: nel nuovo secolo l’indice Gini della World Bank non è mai sceso sotto quota 0,40 in Usa. Più o meno quello calcolato per la Russia e un po’ meno di quello della Cina — peraltro in tendenziale aumento — mentre i grandi paesi europei sono sotto 0,35. Ma in attesa dell’aggiornamento della tabella Gini (ferma al 2015) ci ha pensato la Fed, poche settimane fa, a fotografare un’America sempre più divisa nella ripartizione delle ricchezze e nella distanza fra i redditi. 

A fine 2016 il primo 1% degli americani deteneva il 38,6% della ricchezza nazionale, mentre l’ultimo 90% ne controllava appena il 22,8% (un terzo in meno rispetto al 1989). Idem per i redditi: all’1% degli americani nel 2016 è andato il 23,8%, in evidente crescita rispetto al 20,3% del 2013, ma soprattutto più del doppio del minimo del 1992. Ma non è tutto: all’ultimo 90%, per la prima volta, è stato distribuito meno della metà del reddito disponibile (era il 60% un quarto di secolo fa).

Non ha certo stupito che un video subito virale in rete su scala globale, nei giorni scorsi, abbia ritratto un’anziana povera dimessa senza troppi riguardi una sera di gelo da un ospedale di Baltimora. All’inizio del 2018, nell’incerta transizione trumpiana, per l’America suona la campana della diseguaglianza.

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