Son tornati al daffare di un tempo, hanno rimesso mano ai vecchi mestieri della loro prima stagione. Covando, forse, in cuore l’eterno dubbio d’essere stati truffati, di essersi lasciati abbindolare come inesperti alle prime armi. Il primo ad uscire di casa è il pescatore di Galilea: “Io vado a pescare”. Gli van dietro tutti: “Anche noi con te”. Archiviata definitivamente l’avventura di pescare uomini, si ritorna alle radici del mestiere. Stesso mare della prima volta: imbufalito, seppur a prima vista placido, assai cortese. Anche il fatturato rimase lo stesso: “Quella notte non presero nulla”. Non pescare, per un pescatore, è come fallire.
La beffa, oltre il danno: “Non avete nulla da mangiare?”. E’ foresta la voce che li interpella dopo l’inutile notte di pesca. Com’era sconosciuto a Cleopa quel viandante incrociato sulla carreggiata per Emmaus. A Maria di Magdala, occhio primo della Risurrezione, non andò meglio: lo confuse col giardiniere. Adesso è la loro volta: “No”, gli recriminano con la mestizia negli occhi. “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. Esattamente come tre anni addietro: nessun fuoco d’artificio, neppure da Risorto. Discreto al punto da sembrare che nessuno se ne accorga: stesso copione inscenato a Betlemme, a Nazareth, a Cafarnao, sulla calva sommità del Golgota.
Il tempo di risorgere ed eccolo che ritorna a cercarseli, quei cuori delusi. Li attende sulla riva del mare, come nelle più splendide canzoni d’amore; prepara loro da mangiare, nel gesto domestico dell’essere madre. Riaccende in loro il sospetto d’essere ancora dentro la più bella delle storie d’amore possibili: quella tra Lui e loro. I pescatori hanno gli occhi pesanti di chi ha delusione da spartirsi, notti d’agitazione ad attendere l’amore, occhiaie smunte per il troppo vegliare. Hanno occhi incapaci di vederlo, Lui lo sa: è per questo che s’accosta loro con discrezione, senza arrecare il pur minimo disturbo, come di chi sa entrare-e-uscire dai discorsi in punta di piedi.
Da signore, com’è usanza dire. La tenebra è mancanza di luce, il bagliore è un eccesso di luce: entrambi arrecano spavento all’occhio. La discrezione è l’annunciazione di Dio: “Nessuno osava domandargli: ‘Chi sei?’. Sapevano bene che era il Signore”. Non glielo dissero, ma capirono ch’era Lui: anche stavolta Gli bastò. Lo riconobbero come Dio quando la rete s’ingrossò di centocinquantatre grossi pesci. Mostrarono d’apprezzare la sua umanità quando tornò a volgere loro le vecchie interpellanze d’un tempo: “Mi vuoi bene, mi ami?”. Pietro tiene a mente tutto: i suoi mille casini, le infinite confusioni, le alte-basse maree del cuore. Gli sembra, anzi, che gli parlino come mai prima d’allora: “Tu sai che ti voglio bene, che ti amo”. L’amore s’è riacceso, tutti a tavola adesso: i discepoli a saziarsi di pesce arrostito sulla brace, il Risorto a saziare la sua fame del loro amore bambino.
Dio d’amore, Cristo d’affetti, compagno di memorie: Amoris laetitia, come recita superbo il titolo dell’esortazione apostolica “sull’amore nella famiglia”. La gioia dell’amore: non un teorema, nemmeno rivalsa, nessuna dimostrazione. Null’altro che la riedizione di ciò che accadde quella mattina in riva al lago, appena dopo l’incrocio di Emmaus: Cristo s’introdusse in una conversazione già avviata, fece compagnia alla delusione cocente, alla mestizia affamata. Andò a ficcarsi, per l’ennesima volta, nel buio tempestoso della notte per riaccendere la luce spentasi. Per sostituire la lampadina bruciata: “E’ meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una norma generale: non basta ad assicurare piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano” (AL, 310). Aver fede è sapersi amati, credere è impratichirsi nell’arte d’amare. Come in quell’alba sulla riva del mare. Dopo l’amore, venne la sequela: “Seguimi”. D’ora innanzi, le reti vuote saranno reti tra le più ambite.