Alla radio suona l’ultimo disco di Manolo García. Uno dei superstiti di quegli anni ‘80 in cui in Spagna esplose con forza una creatività artistica che sorprese l’Europa. García, come la fotografa Ouka Lele e qualche altro, ha mantenuto un’ingenua curiosità per la quotidianità, per la vita nel suo pulsare più concreto. Essi sono dalla parte opposta rispetto all’ideologia.
La voce del cantautore non ha più la freschezza degli ultimi vent’anni, ma i sapori orientali della sua musica rimangono un potente magnete. Suona la canzone “Lo quiero todo” (“Voglio tutto”): “Voglio tutto, la schiuma e il fango, il giorno e la notte, la Stella Polare […] e non sentirmi sconfitto, né solo […]. Aspettare paziente davanti all’albero sacro. Seguire anelante, senza sapere dove e quando”.
Suona Manolo García, mentre sullo schermo del computer i giornali dicono che l’agenzia di rating Fitch chiede al nuovo Governo di sorprendere tutti con le misure di aggiustamento dei conti. Perché la riduzione del deficit al 6% del Pil non verrà raggiunta, così come non verranno rispettate le previsioni di crescita economica. Nel parlare della notizia, un analista spiega che il cambiamento politico non porterà a un’immediata riduzione del tasso di disoccupazione, che nei prossimi mesi potrebbe arrivare al 23%.
Il cellulare mi avvisa che ci sono dei messaggi da leggere su Facebook. Poche foto, pochi commenti banali, diversi colleghi non più giovani che inviano il loro curriculum per vedere se c’è qualche possibilità di aiutarli. “Non sentirmi sconfitto, né solo”, dice la canzone di Manolo García. E mentre scorrono le ultime note intuisco che il cambiamento non sta solamente nel necessario aggiustamento dei conti, nell’obbligatoria riforma del lavoro, nel risanamento del sistema finanziario, negli imprescindibili Eurobond o nella politica (nonostante abbia finalmente acquistato peso in Europa).
La crisi ti rende così bisognoso, così disposto a “seguire anelante” chi ti può aiutare, che ascolti persino i versi di un poeta. E intuisci che in questa disposizione a “volere tutto”, ad accogliere la realtà così come si presenta, a imparare da tutto, anche dalle circostanze sfavorevoli, può nascondersi la chiave della questione.
Dopo la canzone in radio parlano di un’intervista a Ferrá Adriá, il grande chef spagnolo, sulla prima pagina del New York Times. El Bulli, il ristorante che lo ha reso famoso, ha chiuso e lui ha viaggiato per il mondo per tre mesi. “Il mondo sta cambiando, i rapporti tra le imprese e i dipendenti non sono come quelli di prima, ho visto un sacco di energia in Asia e America Latina. Non possiamo starcene fermi, dobbiamo cambiare”. “Tutto sta nel modificare l’atteggiamento di fronte alla vita. La nostra era una piccola azienda, ma sapevamo innovare, sapevamo chiederci cosa significava mangiare dando risposte nuove”. Adriá sprizza energia. E parla ancora della necessità di aprire la mente, “di fare cose”, “di essere innovativi nel quotidiano”. È un maestro, non solo ai fornelli.
Non c’è modo di dimenticare i versi di Manolo García. E nasce la domanda inquietante: ma come facciamo a volere tutto, anche il fango? Quindi in radio mettono su un’altra sua canzone, che si chiama “Junto a ti” (“Vicino a te”): “Tu mi ricordi che sono vivo, tu come un paesaggio […] mi chiami alla verità della vita”.