“Un individualismo che si affida alle proprie forze per salvarsi”. E’ questa la diagnosi del male che affligge l’uomo moderno che Papa Francesco affida a un discorso alla Congregazione per la dottrina della fede, il dicastero “chiamato a confermare i fratelli nella fede e la Chiesa nell’unità”. Una patologia debilitante e contagiosa che si manifesta – come ricorda il Papa – nelle “odierne tendenze neo-pelagiane e neo-gnostiche” che dominano ampia parte della cultura.
Non ne è immune neppure quella cristiana del tempo presente, che cerca negli sforzi compiuti dall’uomo sotto il cielo per riconciliarsi con sé stesso e con gli altri il nome della propria speranza, quello che solo una Grazia dal cielo può dischiudere. “In nessun altro c’è salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12). La salvezza non è un fatto da noi compiuto, ma un Avvenimento affidabile che ci è donato.
Come ricordava Benedetto XVI all’inizio dell’enciclica Spe salvi, “la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino”. La fatica di costruire nella comunione quello che potremmo distruggere oziosamente nella divisione, la tensione a edificare ciò che potremmo abbattere tirando i remi in barca e lasciandoci andare alla deriva.
E’ un “ordine nuovo” da dare alla nostra vita e alla società quello che Francesco invita a mettere al posto dello sforzo prometeico e solitario di cambiare il mondo a partire dalla volontà e dall’abilità di una strategia umana dei rapporti: “Noi, invece, crediamo che la salvezza consista nella comunione con Cristo risorto che, grazie al dono dello Spirito Santo, ci ha introdotto a un nuovo ordine di relazioni con il Padre e tra gli uomini”.
Il Papa naviga contro corrente, e lo sa bene. Ma non per questo mostra paura o incertezza a tendere la mano a chi è in mezzo alle onde e vuole arrivare a riva da solo, smarrito e abbandonato a sé stesso. Anzi, richiama che “autenticamente pastorale è ogni azione tesa a prendere per mano l’uomo, quando questi ha smarrito il senso della sua dignità e del suo destino, per condurlo con fiducia a riscoprire la paternità amorevole di Dio, il suo destino buono e le vie per costruire un mondo più umano”. Non sono amici dell’uomo i pastori che ne accarezzano le ferite senza curarle, che fanno buon viso a cattivo gioco e inseguono lo spirito del mondo in cui si smarrisce l’umanità, ma “coloro che non abbandonano l’uomo a sé stesso, né lo lasciano preda del suo disorientamento e dei suoi errori, ma con verità e misericordia lo riportano a ritrovare il suo volto autentico nel bene”. Non si può testimoniare la bellezza e la verità della vita in Cristo lasciando nel “disorientamento” e negli “errori” chi è lontano da Lui e incontra per grazia di Dio e libertà dell’uomo una testimonianza credibile. In questo, la ragione che è nell’uomo ha buon gioco, per “l’inscindibile connessione della sua ragione con la verità e il bene. […] Nulla come l’aprirsi della ragione alla luce che viene da Dio aiuta l’uomo a conoscere sé stesso e il disegno di Dio sul mondo”.
Non è un ottimismo di maniera, un’incredibile fiducia nell’uomo in sé stesso, a buon prezzo, che ci fa guardare avanti con speranza per noi e i nostri figli. Ricordava don Giussani ne Il senso di Dio e l’uomo moderno che “in tutta l’eredità moderna l’accento è sull’uomo, padrone del suo mondo, della sua vita, della sua terra. La caratteristica più impressionante di tale assetto mentale è una specie di sindrome dell’ottimismo affermato con certezza dogmatica”. E aggiungeva: ma questo ingenuo ottimismo “per cui la ragione attraverso la scienza e la tecnica avrebbe potuto risolvere ogni umano problema senza Dio, fu frustata dalla tragedia della Prima guerra mondiale, […] cui seguì la Seconda guerra mondiale, che compì l’opera. La grande cultura precipitò in uno smarrimento profondo, perché da una parte Dio era ormai svanito dall’orizzonte umano e dall’altra parte l’uomo, nuovo dio, si era detronizzato con le sue stesse mani”.
Oggi, come allora, l’orlo del precipizio è ancora questo, da cui ci salva solo un Dio.