L’uomo non si salva da solo

"Un individualismo che si affida alle proprie forze per salvarsi". E' l'errore dell'uomo di oggi nel discorso di Papa Francesco alla Congregazione per la dottrina della fede. ROBERTO COLOMBO

“Un individualismo che si affida alle proprie forze per salvarsi”. E’ questa la diagnosi del male che affligge l’uomo moderno che Papa Francesco affida a un discorso alla Congregazione per la dottrina della fede, il dicastero “chiamato a confermare i fratelli nella fede e la Chiesa nell’unità”. Una patologia debilitante e contagiosa che si manifesta – come ricorda il Papa – nelle “odierne tendenze neo-pelagiane e neo-gnostiche” che dominano ampia parte della cultura.



Non ne è immune neppure quella cristiana del tempo presente, che cerca negli sforzi compiuti dall’uomo sotto il cielo per riconciliarsi con sé stesso e con gli altri il nome della propria speranza, quello che solo una Grazia dal cielo può dischiudere. “In nessun altro c’è salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12). La salvezza non è un fatto da noi compiuto, ma un Avvenimento affidabile che ci è donato.



Come ricordava Benedetto XVI all’inizio dell’enciclica Spe salvi, “la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino”. La fatica di costruire nella comunione quello che potremmo distruggere oziosamente nella divisione, la tensione a edificare ciò che potremmo abbattere tirando i remi in barca e lasciandoci andare alla deriva.



E’ un “ordine nuovo” da dare alla nostra vita e alla società quello che Francesco invita a mettere al posto dello sforzo prometeico e solitario di cambiare il mondo a partire dalla volontà e dall’abilità di una strategia umana dei rapporti: “Noi, invece, crediamo che la salvezza consista nella comunione con Cristo risorto che, grazie al dono dello Spirito Santo, ci ha introdotto a un nuovo ordine di relazioni con il Padre e tra gli uomini”.

Il Papa naviga contro corrente, e lo sa bene. Ma non per questo mostra paura o incertezza a tendere la mano a chi è in mezzo alle onde e vuole arrivare a riva da solo, smarrito e abbandonato a sé stesso. Anzi, richiama che “autenticamente pastorale è ogni azione tesa a prendere per mano l’uomo, quando questi ha smarrito il senso della sua dignità e del suo destino, per condurlo con fiducia a riscoprire la paternità amorevole di Dio, il suo destino buono e le vie per costruire un mondo più umano”. Non sono amici dell’uomo i pastori che ne accarezzano le ferite senza curarle, che fanno buon viso a cattivo gioco e inseguono lo spirito del mondo in cui si smarrisce l’umanità, ma “coloro che non abbandonano l’uomo a sé stesso, né lo lasciano preda del suo disorientamento e dei suoi errori, ma con verità e misericordia lo riportano a ritrovare il suo volto autentico nel bene”. Non si può testimoniare la bellezza e la verità della vita in Cristo lasciando nel “disorientamento” e negli “errori” chi è lontano da Lui e incontra per grazia di Dio e libertà dell’uomo una testimonianza credibile. In questo, la ragione che è nell’uomo ha buon gioco, per “l’inscindibile connessione della sua ragione con la verità e il bene. […] Nulla come l’aprirsi della ragione alla luce che viene da Dio aiuta l’uomo a conoscere sé stesso e il disegno di Dio sul mondo”.

Non è un ottimismo di maniera, un’incredibile fiducia nell’uomo in sé stesso, a buon prezzo, che ci fa guardare avanti con speranza per noi e i nostri figli. Ricordava don Giussani ne Il senso di Dio e l’uomo moderno che “in tutta l’eredità moderna l’accento è sull’uomo, padrone del suo mondo, della sua vita, della sua terra. La caratteristica più impressionante di tale assetto mentale è una specie di sindrome dell’ottimismo affermato con certezza dogmatica”. E aggiungeva: ma questo ingenuo ottimismo “per cui la ragione attraverso la scienza e la tecnica avrebbe potuto risolvere ogni umano problema senza Dio, fu frustata dalla tragedia della Prima guerra mondiale, […] cui seguì la Seconda guerra mondiale, che compì l’opera. La grande cultura precipitò in uno smarrimento profondo, perché da una parte Dio era ormai svanito dall’orizzonte umano e dall’altra parte l’uomo, nuovo dio, si era detronizzato con le sue stesse mani”.

Oggi, come allora, l’orlo del precipizio è ancora questo, da cui ci salva solo un Dio.

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