Stravince l’Islam. Questo il verdetto delle prime elezioni democratiche avvenute in Egitto dopo oltre 30 anni. Al primo turno l’insieme dei partiti islamisti (Giustizia e Libertà e Salafiti) ha ottenuto circa il 65% dei voti. Il dopo Mubarak comincia come preventivato all’insegna di quelle formazioni politiche con una chiarissima identità religiosa, anche se con diverse sfumature, che spesso non sono di poco conto. Ancora più preventivabile era la netta affermazione del partito di Giustizia e Libertà, sostenuto dai Fratelli musulmani, il movimento più in ascesa prima, durante e dopo la rivoluzione che ha sovvertito il regime precedente. A loro andranno 36 dei 56 seggi uninominali in lizza per la prima tornata di voto alle legislative. I nuovi partiti, di ispirazione liberale, sono nati solo pochi mesi fa ed era impensabile concorrere alla pari con i partiti islamici.
Alla luce di tali risultati, ma anche considerati i recenti fatti che hanno visto la violenta repressione di manifestanti cristiani da parte delle forze dell’ordine, trovo sensata la preoccupazione di chi si immagina una deriva illiberale di gran lunga peggiore di quella vissuta durante il regno di Mubarak.
Credo comunque che l’attuale contesto ci permetta ancora di sperare che tutto ciò non avvenga, di sperare che queste elezioni siano davvero l’inizio di un cammino verso la democrazia e la libertà per il popolo egiziano.
L’Egitto è l’unico Stato arabo con una consistente e influente comunità cristiana (22 milioni). A ciò si aggiunge la presenza di una popolazione di musulmani moderati che hanno aderito alla proposta dei partiti liberali, grandi protagonisti della Rivoluzione dei gelsomini e della caduta di Mubarak. L’Egitto non è quindi l’Iran, Paese nel quale i musulmani sono il 98%. Inoltre, come ho detto all’inizio, le differenti sfumature ideologico-programmatiche tra gli stessi partiti islamici sono da sottolineare: chi ha scelto il partito che fa riferimento ai Fratelli musulmani lo ha fatto con la coscienza di voler scegliere un’impostazione alla turca piuttosto che un’impostazione più tradizionalista e radicale in stile iraniano. Effettivamente, questi movimenti affermano di avere come modello il partito Akp del Primo ministro turco Erdogan. È innegabile quindi che anche loro desiderino stabilità, democrazia e sviluppo per il Paese.
Proprio il partito turco Akp ha dal 2005 lo statuto di “Osservatore” all’interno del Partito popolare europeo. Questo vuol dire che noi – in quanto Ppe – dovremmo poter dire di essere vincitori delle elezioni in questi paesi della sponda sud del Mediterraneo, La mia è chiaramente una provocazione. Però come Ppe dobbiamo fare una riflessione profonda: cosa abbiamo fatto dal 2005 a oggi per costruire una seria politica euromediterranea? Cosa abbiamo fatto per capire con quali modalità un partito come quello di Erdogan possa essere efficacemente preso a modello dagli altri movimenti islamisti dei paesi della sponda sud del Mediterraneo?
Quello che deve preoccupare non poco gli osservatori internazionali non è tanto il fatto che al Governo ci siano partiti islamici, ma piuttosto il fatto che questi monopolizzino la stesura della nuova Costituzione. Dobbiamo quindi accettare il verdetto delle urne, ma non possiamo permettere che attraverso il voto democratico i Fratelli musulmani scrivano da soli il testo costituzionale, con il pericolo che esso sia totalmente sbilanciato a favore di un’interpretazione che non dia spazio ai diritti di tutti. Tutte le rivoluzioni hanno diverse fasi. Un futuro positivo per il popolo egiziano lo si costruisce attraverso un’unità politica che consenta di voltare pagina in maniera definitiva.
È chiaro che Unione europea e Comunità internazionale non possono chiamarsi fuori da questa partita. Dobbiamo concentrare i nostri sforzi per dare finalmente un contenuto politico alla nostra azione. Le minoranze devono trovare garanzie per i loro diritti. La Costituzione deve essere il risultato di un consenso di tutte le istanze e di tutti i settori. Devono essere garantiti i diritti a donne, cristiani e liberali.