La carità di Santa Lucia

Seguendo una tradizione medioevale, nella notte di Santa Lucia, i bambini che li meritano ricevono dei doni. In molti lo hanno dimenticato, ma non dappertutto. GIORGIO VITTADINI

I più sanno che, seguendo una tradizione medioevale, nella notte di Santa Lucia, i bambini che li avranno meritati riceveranno dei doni. Meno noto ormai è il fatto che questa tradizione trova origine nel particolare martirio di Santa Lucia, avvenuto a Siracusa sotto Diocleziano e dovuto alla sua conversione al cristianesimo che la portò alla decisione di consacrarsi dopo aver convinto la madre, assai facoltosa, a devolvere tutti i beni di famiglia ai poveri.

La decisione fece infuriare il promesso sposo di Lucia e i governanti di Siracusa che fecero decapitare la futura Santa. Nel tempo nacque la tradizione di legare alla sua memoria il gesto dei regali ai bambini in una giornata dedicata alla gratuità. Come purtroppo spesso avviene, la festa viene vissuta senza grandi richiami al suo significato, ma almeno per Padova e tutto il Veneto la cena di Santa Lucia che si svolgerà oggi per presentare le molte iniziative di Avsi (Associazione volontari per lo sviluppo internazionale, ong che opera dal 1972 in tutto il mondo), si prefigge lo scopo di rendere presente questo significato perduto.

Come diceva don Luigi Giussani, la carità non è un gesto che si esaurisce con un’azione ultimamente estrinseca alla propria natura, che possa evitare un vero coinvolgimento di se stessi. La carità, come gesto veramente umano, è un dono di sé commosso, per il bene di chi si aiuta e che cambia profondamente chi lo fa. Quando ci si accorge che qualcuno intorno a noi ha bisogno, come sempre più spesso avviene in questo periodo di crisi, ci si rende conto che quello che abbiamo non è nostro, anche quando sia stato costruito con il sudore della nostra fronte.

Ci si accorge che tutto è un dono: la vita che non ci siamo dati, la salute che non è ultimamente nelle nostre mani, l’intelligenza con cui ci muoviamo nella realtà, gli affetti, l’educazione, l’istruzione, il lavoro, il benessere più o meno grande di cui godiamo… Allora, prendere coscienza di essere donati a noi stessi ci cambia. Scopriamo che sotto l’egoismo, la cattiveria, il lamento, che non ci sono certo estranei, più grande e più potente permane in noi un cuore fatto di desiderio di bontà, giustizia, verità, che chiede solo di essere ridestato… Così, ci muoviamo per sopperire al bisogno di altri, a esempio, partendo per il Terzo Mondo, come molti missionari; oppure dando vita a opere di carità nei più svariati campi, come mostra la storia delle nostre città; o, molto più semplicemente, dando un po’ dei nostri soldi a qualcuno impegnato in queste imprese. Ma, commossi nel profondo, quando torniamo alle nostre attività quotidiane, non ci muoviamo più come prima.

Come Santa Lucia vogliamo mettere in gioco qualcosa di noi stessi, o meglio, tutto noi stessi. Riemerge così il desiderio che anche quel che è più nostro non sia solo per il nostro tornaconto, ma per il bene di tutti.

Soprattutto in momenti di crisi come questo, si capisce che non è giusto attribuire la responsabilità di cambiare innanzitutto agli altri, alla politica, alla finanza, ai potenti. Si ricomincia a capire che dobbiamo vivere quotidianamente di vera carità, di dono di noi stessi, di desiderio di bene anche nella vita e negli interessi quotidiani. Così, come recita un recente volantino di Cl dal titolo “La crisi sfida per una cambiamento”, si riscopre che questo desiderio di bene di nuovo in azione è il più potente fattore che fa rinascere ingegno, conoscenza, creatività, forza di aggregazione, speranza, nuova e più solida capacità di costruzione.

Questo si può imparare partecipando alla cena di Santa Lucia, che si svolgerà a Padova questa sera, o anche solo sapendo che c’è.

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