In questi giorni nei salotti di Madrid c’è molto fermento. Non c’è conversazione in cui non salti fuori una lunga lista di nomi delle persone che Mariano Rajoy nominerà per qualche incarico di governo. In una di queste tante cene, pochi giorni fa, a uno dei vincitori delle elezioni sono state fatte domande sulla “agenda cattolica” del nuovo governo. Dopo esser saltato sulla sedia ed essersi preso un certo tempo per pensare, questa persona ha snocciolato alcune previsioni. Sul matrimonio omosessuale, nonostante Rajoy abbia espresso la sua contrarietà in alcune occasioni, si attenderà la pronuncia della Corte Costituzionale. E questa potrebbe dare il suo parere positivo. Per quanto riguarda la legge che trasforma l’aborto un diritto e lo permette fino alla fine della gravidanza, i cambiamenti saranno pochi. Non è una priorità la modifica della materia scolastica Educazione alla cittadinanza.
La conversazione ha fatto capire che “i punti caldi” di opposizione sociale – cui hanno partecipato in modo massiccio i cattolici – al governo Zapatero ora non sembrano urgenti. Ma il dialogo è stato anche un buona occasione per capire cosa si intende per “agenda cattolica” in Spagna: vita, famiglia, difesa contro un’educazione statale invasiva. La politica distruttiva dello zapaterismo ha richiesto l’avvio di battaglie decisive. Tuttavia, i cattolici spagnoli hanno ridotto con facilità la loro agenda, la loro presenza pubblica, alla difesa di una serie di valori morali e giuridici. Un qualcosa che, purtroppo, appartiene alla peggior tradizione ispanica. C’è un certo modo di difendere questi valori, con un riferimento generico al Mistero di Dio e alla necessità dell’uomo, che rende irrilevante l’agenda cattolica per chi deve fare i conti con le cose di tutti i giorni, per chi, in un momento o in un altro, della vita si trova a essere un uomo triste.
I valori vanno difesi. Ma il fattore determinante, come ha recentemente sottolineato Benedetto XVI nel suo discorso alla plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, è che i cristiani sono “chiamati a offrire una testimonianza trasparente della rilevanza della questione di Dio in ogni campo del pensare e dell’agire. Nella famiglia, nel lavoro, come nella politica e nell’economia, l’uomo contemporaneo ha bisogno di vedere con i propri occhi e di toccare con mano come con Dio o senza Dio tutto cambia”.
E questo richiede, soprattutto, un cambiamento personale. “La sfida di una mentalità chiusa al trascendente – aggiungeva il Papa – obbliga anche gli stessi cristiani a tornare in modo più deciso alla centralità di Dio. A volte ci si è adoperati perché la presenza dei cristiani nel sociale, nella politica o nell’economia risultasse più incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta per tutte”. È esattamente quello che stava accadendo al personaggio di una commedia del Secolo d’Oro spagnolo (periodo che va dai primi del Cinquecento a tutto il Seicento, ndr) che diceva di non aver bisogno di andare a messa per essere un cristiano puro (ovvero non convertito e di origine spagnola. Si tratta di una definizione tipica del periodo successivo alla Reconquista per distinguersi da un “cristiano nuovo”, ovvero da un ebreo o da un musulmano convertito al cristianesimo, ndr).
È molto diverso iniziare questa sfida riconoscendo, come fa il poeta Luis García Montero in uno de suoi ultimi poemi, che anche noi siamo persone bisognose. Perché “gli uomini tristi / […] che comprano scarpe in un pomeriggio di pioggia / […] che cantano perseguitati dalle risate, / che abbracciano, che danno fastidio fino a restare soli, / […] che vedono come si allontanano le spose e le barche, / questi uomini macchiati dagli ultimi istanti / dell’occasione persa / somigliano a me”. Somigliano a ciascuno di noi che sappiamo che la fede non è un dato acquisito per sempre, perché ogni mattina abbiamo bisogno di Uno che ci sorprenda con la sua tenerezza ineffabile e reale. Questa sorpresa, messa davanti a tutto, è il contenuto dell’agenda cattolica.