Chiudendo la conversazione l’influente vescovo americano sospira: “In fondo voi europei siete degli inguaribili socialisti”. In che senso, scusi? “Nel senso che non amate la spinta che viene dalla base della società, non amate la persona, la famiglia, la comunità, l’autonomia dei gruppi, l’attivismo delle comunità; non ci credete, alla fine pensate che senza Stato non si combina nulla”. Beh, è nota l’allergia degli americani a tutto ciò che sa di Stato e di Governo, e che può creare qualche reazione in eccesso, ma come non vedere ombre equivoche e inquietanti segnali nella piega che hanno preso certe vicende italo-europee? Prendiamo il caso dei dati bancari. Non bastavano i poteri dell’inquisizione fiscale, già piuttosto tremendi (da cui le polemiche dei mesi scorsi contro Equitalia e Agenzia delle Entrate, al punto che lo stesso Tremonti era dovuto intervenire per chiedere maggiore clemenza), ora non ci sarà nessuna differenza tra l’avere un conto in banca e averlo direttamente presso gli uffici del Fisco. Oppure la faccenda delle intercettazioni, messa nel cassetto dopo il ritiro di Berlusconi, ma che non ha certo perso di mordenza.
Viviamo tuttora in un regime dove l’equilibrio tra i classici poteri è completamente scardinato e la giustizia latita: nelle carceri che scoppiano vergognosamente di carne umana più della metà dei detenuti sono in attesa di giudizio e invece che stare svegli anche la notte per fare i processi gli onnipotenti magistrati se ne vanno in vacanza come i comuni mortali. E che dire della sbandierata volontà del ministro Fornero, peraltro nota come valentissima tecnica di orientamento liberale, di mettere le mani dello Stato sulle casse previdenziali autonome le quali, sia chiaro, rispondono ad un principio sacro di auto-organizzazione di corpi intermedi e non costano nulla alla collettività pubblica? O di liberalizzazioni che riguardano taxi, farmacie ed edicole e nessuna vera questione di sistema pubblico, dal cosiddetto “socialismo municipale” (il proliferare di società possedute da enti locali in ambiti dove il pubblico non dovrebbe proprio entrare, come la cultura), a questioni come quelle del conglomerato dell’energia sollevate giustamente da Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera?
Se poi guardiamo all’Europa le preoccupazioni aumentano. Gli Stati stanno per sottoscrivere un nuovo patto in base al quale rinunciano alla sovranità anche sull’ultimo spazio autonomo: il bilancio nazionale (a questo si deve l’opposizione della Gran Bretagna). Dunque si profila un governo tecnico dell’Unione (la Commissione) dotato di enormi poteri, pressoché assoluti, nel settore dell’economia, sostanzialmente irresponsabile sul piano politico, cioè del rapporto con i cittadini. Qualcuno dovrebbe spiegarci perché dovremmo avere bisogno di più Europa, dato che dal nostro continente l’amore per la polis sembra scomparso e l’unica bandiera rimasta a sventolare a Bruxelles è quella della finanza sovranazionale.
Per dirla in modo banale ed estremo il confine tra democrazia e dittatura riguarda proprio il rapporto tra Stato e persona (oggetto di un grandioso intervento di Tony Blair al Meeting di due anni fa). In una democrazia autentica lo Stato si fida dei suoi cittadini, anzi potrebbe perfino amarli, non interviene se essi sono capaci di intervenire autonomamente, ne valorizza la creatività, lo slancio, incoraggia le famiglie e le comunità che lavorano per il bene comune, che aiutano i più bisognosi, che fanno cultura, società, economia; è attento a creare condizioni di garanzia e normative che stimolino i giovani e gli imprenditori, li tassa il minimo possibile e soprattutto li tassa per erogare servizi e attenuare le diseguaglianze, non per mantenere il circo barnum di un sistema statalista-localista che ci ostiniamo a chiamare istituzioni. Sono cose che noi del partito della sussidiarietà conosciamo bene, e sono cose che piacevano molto al Tocqueville che studiava l’America.
Ora l’America ha tanti difetti: le diseguaglianze tremende, le ossessioni della finanza che hanno portato il mondo sul baratro, la strategia geopolitica traballante e volubile. Ma non c’è alcun dubbio circa la vitalità degli Usa radicata nel libero dinamismo delle idee e delle persone che viene appunto da una solida concezione di democrazia: una delle conseguenze è che le tasse sono eque e tutti le pagano – e certo, con sanzioni serie e dure in caso di infrazione. Invece in una dittatura lo Stato non crede ai suoi cittadini, vuole irreggimentare la loro libertà, vuole sapere cosa fanno e cosa pensano, ritiene che le forze individuali, comunitarie, imprenditoriali siano pericolose, punta a spegnere le ambizioni, intende omologare a propri valori e tutt’al più concede al Terzo Settore di riempire i vuoti lasciati da un welfare in disarmo. Tutto ciò in Europa non si può più ottenere con una ideologia politica, non va più di moda. Ma “le vite degli altri” possono egualmente essere soffocate dall’aspra combinazione di fattori diversi, riconducibili ad uno statalismo più moderno e che si pretende più efficace e più morale.
Non c’è dubbio che in Europa come in Italia i fondamenti della democrazia siano tuttora solidi (lo dimostra tra l’altro anche l’ondata di incontri popolari suscitati da un documento di Comunione Liberazione sulla crisi: oltre cento assemblee in tutta Italia, tra quelle fatte e quelle programmate; duecento relatori tra studiosi, insegnanti, imprenditori, operatori sociali; oltre ventimila partecipanti fino ad ora) ma sono solide e tenaci anche le culture stataliste. Ecco perché il presidente Monti, che certamente sta operando in condizioni molto difficili e sta recuperando la credibilità dell’Italia, dovrebbe manifestare più attenzione a certe imprevedibili derive stataliste e poco sobrie della sua compagine. Ci metta un pizzico di America nella sua azione, tolga un po’ di Stato, dia fiducia alla società, apra davvero ai giovani (e anche imponga ai suoi ministri di ascoltare molto prima di sentenziare): vedrà che troverà cittadini e comunità che non fanno e non desiderano altro che contribuire al bene di tutti.