Dopo cinque anni di lavoro, il federalismo è il nuovo banco di prova che attende l’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà. Non possiamo permetterci di vedere nel federalismo la nuova “terra promessa” costituzionale, la chiave che permetterà di risolvere i problemi del paese, la meta che ci può far finalmente voltare pagina. Naturalmente tutto questo è possibile e lo auspichiamo davvero. Ma un approccio ragionevole alle cose politiche ci fa essere molto più concreti.
In Italia abbiamo comuni – di centrodestra e di centrosinistra – la cui amministrazione è molto più centralista dello Stato burocratico, sprecone e accentratore dal quale il federalismo dovrebbe tirarci fuori. È proprio qui che dobbiamo fare attenzione. Il federalismo è uno strumento che permette di attuare più e meglio il principio di sussidiarietà. Non solo nella sua accezione verticale – la reciproca articolazione dei livelli di governo della cosa pubblica, Stato, regioni, province, città metropolitane – ma innanzitutto orizzontale: cioè che i cittadini siano protagonisti.
O il federalismo che stiamo tutti tentando di costruire, saprà porsi come risorsa al servizio della libertà delle persone e dei corpi intermedi, o rischieremo di creare un nuovo centralismo, su scala territoriale ristretta, ma sempre un centralismo. A quel punto il cittadino rimarrà senza difese e non gli resterà che rimpiangere il vecchio centralismo statale. Perché quanto più l’istituzione è vicina al cittadino, tanto più può risolversi in qualcosa che serve la persona o anzi la soffoca. Il federalismo, pertanto, non è una condizione migliore dello Stato tout-court, ma è la migliore forma di Stato a condizione che le persone godano della più ampia libertà possibile.
L’Intergruppo ha saputo offrire un esempio di realismo politico basato sul confronto e sul dialogo. Il lavoro svolto finora può fugare ogni dubbio sul fatto che il dialogo sia vittima di una vecchia interpretazione della politica, intesa come negoziato di potere. Il dialogo all’interno dell’Intergruppo avviene non perché la pensiamo tutti allo stesso modo, ma perché partiamo da una concezione comune della politica e dello Stato: il primo compito è servire la gente, il bene comune, e per farlo occorre partire da una concezione forte, ideale, che può certamente esser diversa in base all’ispirazione politica, ma che si traduce in proposta.
Un confronto serio, senza pregiudizi, porta a mettere in comune ciò che può esser condiviso, ma anche ad assumersi la responsabilità di governare. I cinque anni dell’Intergruppo hanno visto una fattiva collaborazione di tutti, sia durante il governo di centrodestra, sia durante il governo di centrosinistra. Ma è stato sempre chiaro, nell’azione dell’Intergruppo, che la responsabilità delle iniziative era del governo: tutto l’Intergruppo ha sostenuto un provvedimento come il 5 per mille, ma la responsabilità ultima del provvedimento è stata di Tremonti.
Il periodo che va dalla vittoria di Berlusconi ad oggi ha visto, tra alterne vicende, maggioranza e opposizione dibattersi tra l’alternativa di un lavoro costruttivo oppure un’opposizione pregiudiziale basata sul solito leitmotiv del conflitto di interessi, dell’interesse personale, della giustizia. Ma sono questioni che hanno stancato la maggioranza dei cittadini e che servono a nascondere i veri problemi del paese. L’Intergruppo attesta che se si parte dall’interesse generale è possibile una politica libera da pregiudizi sull’avversario.
In un periodo di crisi economica come quello che stiamo attraversando, occorre essere concreti e realisti: partire da fatti e proposte e risolvere un problema per volta. Questo toglie una visione complessiva? Nient’affatto. Il governo ha liberato la ripresa dell’attività politica, dopo la pausa estiva, dalla manovra economica. Aver concluso anzitempo una manovra che obbliga prima di tutto a tagliare i costi, permette oggi di blindare i conti dello Stato, e di preparare maggioranza e opposizione al necessario confronto sulle riforme: federalismo, riforma costituzionale della legge elettorale, rilancio del sistema economico del paese, servizi pubblici locali, concorrenza.
Il Meeting, che si svolge in questi giorni a Rimini, ha offerto testimonianze di persone protagoniste. Cleuza e Marcos Zerbini, alla guida del movimento Sem Terra in Brasile, hanno preso le mosse da una situazione di gravissima povertà economica. La loro risposta però non è stata economica, ma umana: non la politica, ma l’impegno umano e personale che partono da una diversa coscienza di sé generano una nuova responsabilità. È una lezione attuale per tutti.