Di famiglia in Italia si parla sempre moltissimo, soprattutto nel dibattito pubblico e nella retorica comunicativa dei grandi partiti “pigliatutto”. Eppure da decenni non vi sono novità di rilievo dal punto di vista delle politiche famigliari, finanziate in modo del tutto inadeguato (1,1% del Pil, contro una media Ue del 2,3%), insufficienti sul terreno dei servizi (soprattutto per quelli alla prima infanzia), economicamente inincidenti al di fuori dei redditi più bassi.
La campagna elettorale che stiamo vivendo non fa naturalmente eccezione. Anzi, mai come quest’anno il “fattore Famiglia” attrae l’interesse degli strateghi della politica. Limitiamoci ad analizzare i programmi dei due partiti principali.
Il programma del Partito Democratico prevede la sostituzione dell’inefficace sistema degli assegni famigliari con una “dote fiscale”, realizzata grazie a un più esteso utilizzo delle detrazioni fiscali, nonché il raddoppio del numero di posti disponibili negli asili nido.
Più articolato (e probabilmente anche più difficilmente realizzabile) il programma pro family del Popolo delle libertà. Tra i moltissimi punti, ne spiccano cinque: introduzione del quoziente famigliare per il calcolo della base imponibile ai fini fiscali; eliminazione dell’Ici sulla prima casa; un “piano casa” per dare un’abitazione di proprietà a chi ancora non l’ha; reintroduzione del “bonus bebè” come strumento di sostegno alla natalità; sostegni alla famiglia per l’esercizio della libera scelta in campo educativo.
In entrambi i casi vi sono elementi di forza e di debolezza. Il programma veltroniano appare troppo timido sul fronte fiscale (i vantaggi della dote andranno, ancora una volta, solamente a beneficio delle famiglie a reddito più basso, anziché a tutti) e decisamente più incisivo sul fronte dei servizi per famiglie in cui anche la donna lavora. Il programma berlusconiano, invece, è molto innovativo sul piano fiscale e sul tema della libera scelta famigliare, ma poco attento alla dimensione dei nuovi servizi di welfare per le famiglie e soprattutto per i bambini.
Quale dei due è preferibile? Alla luce delle esperienze dei paesi europei che più di altri hanno finanziato politiche indirizzate alle famiglie, quello del PdL risulta più completo e ambizioso.
Il modello di Veltroni non premia le famiglie con figli e soprattutto non cambia l’impostazione di welfare attualmente presente nel nostro paese, fondato sull’equità verticale e sulle pari opportunità. Un modello che funziona bene solo in contesti sociali, politici e culturali molto differenti dal nostro, come ad esempio in Svezia.
Il modello di Berlusconi è invece esplicitamente famigliare e natalista, in linea con esperienze europee più simili alla nostra ma che hanno mostrato esiti contraddittori. In Germania, dove si spende moltissimo per le famiglie (3,2% del Pil) e dove l’intero sistema fiscale è tarato sulle esigenze delle famiglie con figli, il tasso di natalità è ancora il più basso d’Europa, nonostante la premialità verso chi decide di mettere al mondo dei figli. In Francia, dove si spende un po’ meno (2,5% del Pil), un equilibrato mix di interventi fiscali, trasferimenti monetari e crescita dei servizi ha determinato una tassazione bassissima per le famiglie con figli e una crescente libertà di scelta per le donne tra cura dei figli e lavoro, con il risultato di una notevole crescita della natalità fino al raggiungimento dei livelli massimi europei.
Modelli differenti e dai risultati non univoci, che segnalano però un fatto: è possibile riformare strutturalmente i sistemi di welfare, sostenendo al tempo stesso la famiglia, la libera scelta e la possibilità di fare più figli. Da questo punto di vista, basterebbe l’introduzione del quoziente famigliare (auspicata da Luigi Campiglio anche su www.ilsussidiario.net) o di altri sistemi di vantaggio fiscale alle famiglie con figli (come quel “basic income famigliare” sostenuto dal Forum delle Associazioni famigliari) per cambiare aria al nostro welfare, permettendo a molti di tornare a respirare.