Credo di non aver mai seguito una visita del Papa dove la distanza tra le percezioni interne ed esterne sia stata così ampia: è quasi come se il Papa avesse fatto due viaggi separati in Camerun, uno quello riportato a livello internazionale, l’altro quello vissuto realmente dagli africani.
Negli Stati Uniti e in molte altre parti del mondo, la copertura è stata a “tutto preservativo, per tutto il tempo”, innescata dalle osservazioni di Benedetto sull’aereo riguardo al fatto che i preservativi non sono il modo corretto di combattere l’Aids. Invece, in Africa la visita del Papa è stata un successo e una larga folla è accorsa a vedere il Papa. Benedetto stesso sembra essere stato travolto dall’entusiasmo.
Per due volte si è riferito all’Africa come al “continente della speranza” e, a un certo punto, questo raffinato teologo ha perfino riflettuto ad alta voce su una nuova esplosione di energie intellettuali in Africa, che potrebbe portare a una versione del ventunesimo secolo della famosa scuola di Alessandria, che diede personalità alla Chiesa primitiva quali Clemente e Origene.
Per quanto possa sembrare irragionevole agli occidentali, è difficile trovare in Camerun qualcuno che consideri particolarmente importante la questione dei preservativi, a parte giornalisti, missionari o impiegati di Ong stranieri. I locali hanno opinioni ovviamente differenziate sull’efficacia dei preservativi nella lotta all’Aids, ma non considerano questo l’elemento dominante l’avvenimento. Al dunque: vista dall’estero, la visita del Papa è stata centrata sui preservativi, localmente, è stata sentita come una celebrazione del cattolicesimo africano. Di seguito, una esperienza surreale che sottolinea questa divergenza.
Martedì, ho preparato un articolo sull’indiretto, ma evidente, rimprovero al presidente del Camerun, Paul Biva, già seminarista cattolico, che ha tentato ripetutamente di avvolgersi nella bandiera del Papa durante la visita di Benedetto. Manifesti in giro per Yaoundè dichiaravano una “comunione perfetta” tra i due ed erano stati distribuiti camicie e vestiti con le foto di Biva e Benedetto. Biva è, comunque, un tipico uomo forte africano, al potere in Camerun dal 1982 con un misto di repressioni occasionali e di corruzione continua.
Benedetto non ha voluto imbarazzare l’ospite, ma non ha lasciato neppure che foto e manifesti implicassero la sua approvazione. Così, senza citare Biva direttamente, ha detto in modo chiaro che i cristiani devono prendere posizione contro “la corruzione e gli abusi del potere”. Questo è stato sufficiente a creare un’onda d’urto in tutto il Camerun ed è sembrato rinvigorire i leader della Chiesa locale. Il mattino dopo, il Cardinale Christian Tumi, unico Cardinale del Camerun, ha chiesto pubblicamente a Biva di non candidarsi alle elezioni fissate per il 2011, una cosa che prima nessuno avrebbe osato fare.
Stavo descrivendo questo nel mio articolo, quando ho dovuto interrompermi per un’intervista con la CNN International sul primo giorno della visita…. intervista interamente dedicata alla controversia sui preservativi. Sinceramente, mi sono domandato se stavamo parlando dello stesso evento.
Detto questo, vorrei chiarire la questione. Questo distacco di percezione non è esclusivamente, o perfino primariamente, colpa dei media. Il giornalista della Tv francese che in aereo ha posto la domanda sui preservativi era entro i limiti della correttezza: l’Aids è un problema grave ed è corretto interrogare su questo punto il Papa, in occasione della sua prima visita al continente che più è colpito da questo flagello. Una volta posta la domanda, la palla era a Benedetto e buona parte di quello che è successo dopo è derivante dalla sua risposta.
Con questo, non sto prendendo posizione sulla sostanza della risposta del Papa, che ha ripetuto l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione e in accordo con l’opinione di quasi tutti i vescovi africani da me intervistati, secondo i quali il preservativo dà alla loro gente un falso senso di invulnerabilità, spingendoli così a una condotta sessuale più a rischio. Questa opinione può essere discussa, ma non si può accusare il Papa di seguire le indicazioni dei suoi vescovi in loco (tanto più che, normalmente, i Papi vengono accusati proprio di non ascoltare i vescovi locali).
Il punto è se quello era il momento e il luogo giusto di dire queste cose, sapendo che ciò avrebbe messo in ombra il messaggio vero che Benedetto stava portando all’Africa (non è la prima volta: in volo verso il Brasile nel 2007, rispose a una domanda circa la scomunica dei politici che sostengono il diritto all’aborto, compromettendo l’effetto del primo giorno della sua prima visita in America Latina).
Si tratta di un problema ben noto a chi è abituato alle telecamere e che deve vedersela con una domanda che non porta a nulla di buono. Benedetto avrebbe potuto dire qualcosa tipo: “Naturalmente la Chiesa è profondamente coinvolta con il problema Aids, il che spiega perché un quarto di tutti i malati di Aids nel mondo è curato in ospedali e altre strutture cattoliche. Per quanto riguarda i preservativi, il nostro insegnamento è ben conosciuto, ma questo non è il momento per discuterne. Invece, vorrei focalizzarmi sul mio messaggio di speranza per i popoli africani” e così via.
Sarebbe probabilmente finita con: “Benedetto ha ignorato la domanda sui preservativi”, senza sollevare nessun putiferio. Qualcuno, speranzoso, potrebbe dire che la sceneggiata sui preservativi ha almeno attirato l’attenzione del mondo sulla visita in Africa, ma non è così, perché l’Africa è diventata lo sfondo di un altro round della guerra culturale in Occidente.
Rimane comunque il fatto che queste discussioni hanno lasciato un’impressione fortemente distorta degli scopi e dei contenuti della visita del Papa in Camerun. Se la prima regola per valutare un evento è di capire cosa è realmente successo, il trarre conclusioni dal viaggio africano di Benedetto richiede molto di più che non seguire i sussulti del dibattito sui preservativi.