Il punto non è che Lorenzo Guidotti sia un sacerdote. Il punto non è che quest’uomo sostenga che se una ragazza sceglie la civiltà dello sballo poi non deve stupirsi se viene stuprata. Il punto non è che lo dica sui social, esponendo l’istituzione che rappresenta ad essere ancora una volta stigmatizzata e bistrattata da chi già la vive con insofferenza e rigetto. Il punto è che dichiarazioni come queste rivelano un pensiero tanto inaudito quanto blasfemo, ossia che certe azioni terribili e violente, a certe condizioni e in certi contesti, siano spiegabili e giustificabili.
E forse il punto è anche che questi pensieri presuppongano qualcosa di ancora più terribile: che un uomo, un violento, un assassino, non sia sempre libero di scegliere se resistere o cedere alle pulsioni del male che si affacciano nelle inquiete anime del nostro tempo.
Quello che si nega quando si afferma che una ragazza che adotta un certo stile di vita provoca lo stupro e lo stupratore è la libertà dell’uomo, la sua dignità, il suo essere responsabile sempre e comunque delle proprie azioni. Parole come quelle di Guidotti non possono avere cittadinanza nel dibattito pubblico perché riducono la coscienza del singolo ad un prodotto sociale o all’esito delle scelte individuali.
Ma quello che aggrava tutta questa situazione è il mormorio scomposto e risentito di coloro che neanche troppo sommessamente condividono, avvallano e approvano parole senza pietà, senza carità e senza consapevolezza. Si diventa complici manifesti di una corsa al massacro, di una banalizzazione del dolore e del dramma di una ragazza sacrificato sull’altare del cinismo e del risentimento verso un sistema imputato di politically correct. Ma qui il punto non è dire le parole giuste o quelle che l’élite intellettuale del nostro paese si aspetta. Qui il punto è quello di rimanere umani, di non perdere di vista le lacrime e le storie di chi vive dietro tutte le vicende di cronaca date in pasto ai social come se fossero sfiziosi bocconcini con cui sfamare gli appetiti più morbosi e libidinosi.
Qui il punto, insomma, è quello di non cedere ad uno spirito da branco che sembra prendere sempre più piede nella politica, nel costume e nel linguaggio del nostro tempo. E questo è qualcosa che un prete non si può permettere senza perdere, tutto d’un tratto, l’autorevolezza e la forza che proviene dall’essere ministro dell’amore, ministro di un’istituzione che ha fatto della cura degli ultimi e dei peccatori l’orgoglio di una missione, il motivo di una presenza che, dopo parole come queste, appare improvvisamente poco credibile e sfregiata. E forse è proprio di questo che don Guidotti, alla fine, dovrebbe chiedere scusa.