Giovedì scorso, XV Giornata internazionale della famiglia, avete consegnato al presidente Napolitano le firme della petizione «Un fisco a misura di famiglia», che ha raccolto più di un milione di adesioni. Che bilancio si sente di fare?
Il bilancio è molto positivo per quanto riguarda la capacità di mobilitazione e comprensione dell’urgenza di questo problema da parte delle famiglie italiane. La raccolta di 1 milione e 71 mila firme significano una grande capacità di risposta. Vuol dire che il popolo del Family Day dall’anno scorso non si è disperso e incomincia a capire i diritti che ha e che deve giustamente esibire. Questo è stato il primo grande risultato. La prima cosa che vorremmo – e ne faremo subito richiesta anche a mezzo stampa – è un incontro con la Presidenza del Consiglio, dal momento che la delega alla Famiglia è stata affidata a Carlo Giovanardi, sottosegretario della Presidenza del Consiglio. In seguito chiederemo un incontro con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. È indispensabile l’incontro prima della stesura del Dpef, che avverrà a giugno, perchè nelle linee guida del Dpef è previsto il tema della fiscalità familiare.
Le agenzie hanno riportato questa sua dichiarazione: «Bene l’idea del quoziente familiare, ma partiamo dalle deduzioni». Vuole spiegare ai nostri lettori la differenza tra questi due istituti e perchè voi preferite uno piuttosto che l’altro?
Noi preferiamo il sistema delle deduzioni perché vuol dire dedurre dall’imponibile su cui si calcola l’imposta una cifra che di anno in anno si può concordare, e che riconosce il peso e la spesa di ogni familiare a carico. La deduzione può essere graduale e può rispettare le esigenze di bilancio. Noi a regime vorremmo arrivare in una legislatura a una deduzione di 7000-7500 euro a figlio, a partire da 3mila, 3500 ed è una cosa molto semplice. Ogni anno il governo stabilisce che per ogni figlio a carico si deduce dall’imponibile quella cifra. Il quoziente familiare invece è una cosa molto più complessa: occorre fare una somma dei redditi e non sempre è possibile, perchè ci sono dei redditi in nero, alcune famiglie sono monoreddito, e si divide la somma per i componenti della famiglia. I componenti della famiglia non hanno lo stesso peso nel conteggio. E per il nostro sistema fiscale è considerato contribuente il singolo, non il nucleo familiare. Di fatto il quoziente familiare funziona in Francia, dove da anni lo applicano, con risultati positivi.
Cosa ne pensa del sistema francese?
Il sistema francese è ottimo. Al convegno che si è svolto in occasione della Giornata internazionale della famiglia (L’alleanza per la famiglia in Europa: l’associazionismo protagonista) erano presenti anche i francesi, dal momento che si è parlato di politiche familiari in Europa. Il sistema fiscale francese funziona perfettamente, tanto che ci sono famiglie italiane con un genitore che lavora in Francia che finiscono per trasferirsi là. Viceversa, le famiglie francesi che si trasferiscono in Italia finiscono poi per ritornare in Francia, dove le famiglie numerose non vedono calare la qualità della vita in modo vertiginoso proprio perché sono sostenute in modo intelligente, mentre nel nostro Paese occorre, purtroppo, “valutare” bene prima di creare una famiglia.
Benedetto XVI, durante il ricevimento di oggi, ha parlato di «condizioni di preoccupante precarietà in cui vivono tante famiglie in italia» e ha posto l’accento su un significato ben preciso di famiglia.
Il concetto espresso dal Papa è fondamentale. Per noi è importante mettere in evidenza che quando si parla di famiglia intendiamo il nucleo familiare fondato sul matrimonio, come recita l’articolo 29 della Costituzione. Ciò non toglie che i figli nati nel matrimonio o fuori dal matrimonio hanno gli stessi costi e gli stessi diritti, quindi la deduzione viene calcolata per il genitore che ha a carico il figlio, indipendentemente dal fatto che sia sposato o meno.
Questo succede da anni. In Italia il Family Day si è svolto il 12 maggio proprio perchè il 15 sarebbe stata la Giornata internazionale della famiglia. Il deficit di comunicazione si spiega col fatto che quel che riguarda la famiglia è una notizia volutamente censurata. Abbiamo consegnato oltre un milione di firme, erano presenti i media, ma pochi giornali ne hanno parlato. Esiste di fatto una censura sotterranea verso la famiglia, quando questo tema è propositivo di diritti e di modelli che non sono quelli considerati oggi vincenti dai media.