Il dolore è troppo forte perché possa essere smaltito: i familiari di Elisabeth, 20 anni, e di Francesca e Angelica, le sorelline rom bruciate vive nel camper parcheggiato davanti al centro commerciale in viale della Primavera, nella periferia est di Roma la notte del 10 maggio, non possono darsi pace. La mamma, Mela Hadzovic, non riesce a fare a meno di ripercorrere quei tragici momenti. Sembra quasi volersi auto-convincere che davvero nulla di più poteva essere fatto, per salvare le sue figlie. Per questo, come riportato da corriere.it, non fa altro che ripetere:”Ho provato a tirare fuori tutti, tutti. Il fuoco era troppo forte, troppo alto”. Le immagini del rogo che ha bruciato le sue figlie, delle fiamme che hanno ridotto in cenere la sua famiglia, sono più vivide che mai:”All’improvviso fuori dai finestrini è diventato tutto giallo. Una luce fortissima, è scoppiato il finimondo. Eravamo terrorizzati, non sapevamo come uscire”.
E guai a voler parlare di incidente, di tragica fatalità. La nonna paterna, Devlia Halinovic, a Il Messaggero ribadisce con forza il convincimento che si tratti di un regolamento di conti. La famiglia del figlio, Romano, era finita sotto minaccia da quando aveva collaborato per consegnare agli inquirenti gli scippatori che avevano posto fine alla vita di Zhang Yao, la studentessa cinese di 22 anni finita sotto un treno a Tor Sapienza, dopo essere stata derubata da alcuni giovani del campo di Salviati. Romano ripete quello che è il suo modo di pensare, il codice non scritto anche nelle faide più sanguinose tra gruppi nomadi:”I figli non si toccano”. Ma Devlia, che di generazioni rom ne ha viste diverse, mentre i suoi occhi si riempiono di lacrime avverte:”Le hanno uccise. Io lo so, volevano fare male alla mia famiglia, le mie nipoti sono morte, mio figlio Romano è rimasto ferito alla testa e al braccio nel tentativo di salvarle, era stato minacciato”. Sono le parole di chi cerca la giustizia, per continuare a vivere. Le parole di chi spera basti quella, per continuare a vivere.