Il Signore mi ha chiamato fin dal seno materno”: ben a ragione le parole del profeta Isaia ricorrono nella festa del martirio di Giovanni Battista. Egli trasalì di gioia nel seno di sua madre Elisabetta, non appena Maria, già incinta per opera dello Spirito Santo, salutò l’anziana cugina che lo portava in grembo. L’esultanza erompe anche nella giovane donna di Nazareth: “L’anima mia magnifica il Signore”. La vita di Giovanni è tutta sotto il segno della gioia, a dispetto della sua lunga dimora solitaria nel deserto, vestito di peli di cammello e nutrito di locuste, in attesa di annunciare a Israele la salvezza ormai prossima. La conversione da lui predicata è in funzione di un avvenimento di gioia, la presenza del Messia. Unico tra i profeti, egli vide il termine di una secolare attesa e lo indicò ai suoi discepoli: “Ecco l’agnello di Dio”. E seppe trarsi da parte, egli che si definisce l’amico dello Sposo, che gioisce con lui e che sparisce in questa gioia.
Ma egli è anche il testimone della verità della legge di Dio e non tace: non è lecito a Erode tenere come sposa la cognata Erodiade. E così, per un capriccio di donna, per una danza che accende la sensualità di un festino, viene decapitato e versa il suo sangue.
La gioia fino al sangue. Anche in questo precursore di Gesù, che prima della Passione parla della sua gioia, quella che lo unisce al Padre.
Lo ridice nella liturgia odierna il venerabile Beda: “Egli annunziava la libertà della pace superna e fu gettato in prigione dagli empi. Fu rinchiuso nell’oscurità del carcere colui che venne a rendere testimonianza alla luce e che dalla stessa luce, che è Cristo, meritò di essere chiamato lampada che arde e illumina. Fu battezzato nel proprio sangue colui al quale era stato concesso di battezzare il Redentore del mondo. Ma a persone come lui non doveva riuscire gravoso, anzi facile e bello sopportare per la verità tormenti transitori ripagabili con le gioie eterne”.
Come spesso fanno i Padri, anche Beda si serve di contrapposizioni per meglio illuminare due figure e con questa figura retorica aiuta a comprendere meglio le personalità di entrambe. La sua omelia termina con il pensiero di Paolo nella lettera ai Romani: ”Le sofferenze del momento presente non sono nulla a confronto della gloria che dovrà essere manifestata in noi”.
L’appunto più conciso sulla persona di Giovanni Battista viene da un educatore scomparso da poco, don Giorgio Pontiggia, che venerava in lui un uomo la cui ragione d’essere era totalmente Cristo.