Wired, storica rivista nata negli States nel 1993 e pubblicata in italiano dal 2009, rilancia i risultati di un’inchiesta secondo cui ogni anno i social media raccolgono ben 879 milioni di lamentele. Twitter è il canale maggiormente utilizzato per le proteste più sociali, legate a campagne virali e sovente motivate ideologicamente. Ma la parte più rilevante delle lamentele è rivolta ai marchi e, naturalmente, il social che ne ospita di più è Facebook (curioso poi è che Facebook ha il record di proteste su se stesso. La gente, cioè, su Facebook si lamenta del prodotto Facebook).
Oggi i social network sono lo strumento più efficace per esprimere le valutazioni sui prodotti acquistati. Il vecchio ufficio reclami, tanto celebrato nelle barzellette della Settimana Enigmistica, è in pensione. In quelle vignette l’omino al bancone era vittima sacrificale di ogni tipo di protesta. Erano gli anni in cui si diceva che il cliente ha sempre ragione. Oggi non è più così.
Da un lato si moltiplicano produttori che, per restare a galla, vivono alla giornata, cercano di arraffare più fatturato possibile a qualunque costo, senza pensare al domani. Delle proteste, se hai pagato, se ne fregano. Ma d’altro canto esistono anche imprese che hanno capito l’importanza di gestire strategicamente la lamentela. Al capitolo uno dei manuali di marketing relazionale si insegna che è più difficile conquistare un nuovo cliente che conservarne uno vecchio. Perciò si impiegano ingenti risorse per rispondere puntualmente e velocemente alle proteste.
Una lamentela ben gestita può trasformare un cliente insoddisfatto in un cliente fedele. Parte di questo nuovo tipo di lavoro consiste nel cancellare insulti, oscenità, critiche pretestuose, sfoghi dei matti. Una valutazione negativa sul web può condannare un’impresa. Lo sanno bene i ristoratori, che sempre più spesso, più che con i piatti, combattono con le recensioni. E molte sono false.
Gestire il reclamo sul web è una tecnica, surrogato di un’abilità tanto rara quanto semplice e che sarebbe alla portata di tutti: la capacità di ascoltare. D’altro canto oggi per qualcuno lamentarsi è una professione, assai richiesta anche nei talk show televisivi. E per altri il lamento è un gioco o un vizio e spesso un alibi che copre l’inerzia.
Naturalmente tutto dipende dall’oggetto della protesta. Ogni età ha i suoi lamenti tipici, che sono specchio dei suoi valori. Achille piangeva la morte di Patroclo. I cahiers de doléances denunciavano i privilegi dei nobili francesi. Leopardi… Oggi che il consumo è centro di tutto, si protesta per un difetto del pullover o, al massimo dello slancio etico, perché in qualche lontano paese spennano le oche per farne imbottiture. Si parva licet.
Comunque, in questo gioco delle parti il rapporto cliente-fornitore non tornerà più personale, come ai tempi del negoziante di fiducia sotto casa. Per l’impresa il consumatore è un numero, possibilmente ben profilato. Per il consumatore il produttore è nebuloso, lontano come la voce straniera che risponde al call center — quando risponde — chissà da dove. Ma trattandosi di beni e servizi (di cose!) in fondo in fondo, che ci importa? Di ben altre spersonalizzazioni della nostra società ci dovremmo preoccupare. Vogliamo, così, tanto per fare un esempio, iniziare dall’educazione nella scuola?