Sembra sapere il fatto suo, Massimo Gandolfini. Ha sfidato Renzi sul referendum, gli ha detto pressappoco “tu hai fatto la legge sulle unioni civili? Noi ti voteremo contro nel tuo referendum (quello di ottobre, sulla riforma del senato), ti manderemo a casa, la pagherai”. Renzi ha rilanciato, “andrò nelle parrocchie a spiegare la mia riforma, vedremo chi la spunta”.
C’è una prima osservazione, di puro buon senso: “ma che c’azzecca?”. Che cosa c’entra il referendum sul senato con la legge sulle unioni civili? Non sembra un buon sistema, la politica del massacro, tu hai fatto una legge cattiva, io ti affosso su un’altra (a prescindere dal poco autorevole parere del sottoscritto, che è da quando, ragazzo, si affacciava sulla politica, che sogna di vedere la fine del bicameralismo perfetto, cancro del sistema italiano, voluto da De Gasperi e Togliatti per legare le mani alla temuta vittoria dell’avversario).
Ma ce n’è una seconda, anche questa di semplice senso comune, ma più drammatica: è proprio sicuro, Gandolfini, di sapere da che parte stia la sensibilità di quella minoranza che ancora frequenta le parrocchie? Credevano di sapere dove stesse altri benintenzionati cattolici quando, tantissimi anni fa, promossero i referendum contro la legge sul divorzio e poi sull’aborto. Servirono solo per scoprire che la mentalità degli italiani, anche di tanti che ancora andavano in chiesa, era ormai da un’altra parte.
Fu un duro risveglio; e anche, per certi aspetti, salutare: suggerì che forse era il caso di ripartire dall’inizio. Allora, la realistica proposta di Andreotti — una legge che consentisse il divorzio per i soli matrimoni civili — fu giudicata un compromesso inaccettabile, le fu preferito il muro contro muro, con i risultati che tutti sanno.
Non vale la pena imparare dalla storia? L’aria, oggi, fatte le debite distinzioni, non mi pare tanto diversa da quella di allora. Non è un’illusione pensare che i pochi cattolici rimasti in Italia siano pronti a schierarsi compatti, al di là di quelli che si riconoscono in pur meritorie iniziative come il Family day, a difesa di un principio? Non è meglio un onesto punto di equilibrio come la legge sulle unioni civili senza la stepchild adoption — fu l’allora cardinal Ratzinger, se la memoria non mi tradisce, a definire la politica come “arte del compromesso” — a uno scontro all’ultimo sangue? Siamo proprio sicuri che serva un tutto o niente, da cui si può uscire solo perdenti?