Ora possiamo toccare con mano questi terroristi del nostro tempo. L’arresto di sei giovani, avvenuto in Lombardia, con l’accusa di terrorismo islamico, ci fa conoscere i tipi umani e le loro idee.
Il personaggio più significativo è Moutaharrik Abderrahim, 24 anni, residente a Lecco e impegnato nelle gare di kickboxing a livelli regionali. Di origine marocchina, sposato con Salma di 26 anni, e con due bambini di 2 e 4 anni. In contatto con gli altri arrestati residenti a Brunello (Varese) e a Baveno (Verbania).
Il suo proposito era di portare tutta la famiglia in Siria per affidarli al califfato, e poi tornare in Italia per attaccare l’ambasciata israeliana a Roma. Dichiara apertamente questa intenzione e fa riferimento all’appello che ha ricevuto dal fratello di quelli di Baveno, che è già in Siria da due anni. Questo appello si chiama “poesia bomba” e recita: “arriveremo a Roma … sgozza con il coltello … fai esplodere la tua cintura nelle folle … agita chi è infedele … la brigata che vince ridà all’islam la sua gloria … versa sulla testa del crociato granate … non avere pietà … il combattente guadagna il paradiso”.
L’appello non contiene alcuna analisi, non parla di delitti commessi contro di loro, non dà neppure una visione strategica sul come si arriverebbe alla vittoria. L’unica visione che si esprime è che Allah lo vuole. L’unica promessa è il Paradiso.
Insomma il califfo mobilita un uomo senza popolo, senza comunità, senza idee, ovvero l’uomo moderno dell’Occidente, edonista e che vuole apparire potente. La copertura religiosa non passa neanche dal Dio giusto e misericordioso, passa solo da un Dio inarrivabile che vuole la guerra e ti ordina di farla.
I rivoluzionari delle Brigate rosse e i terroristi neofascisti avevano l’appartenenza ad una storia comune, agognavano un ideale astratto ma con visioni esistenziali forti. Non si può fare un paragone, se non per la fuga dalla realtà così diffusa in tutte le dimensioni ideologiche.
Possiamo trovare nell’islam la visione religiosa che causa la presa sulle coscienze propria del califfato? Innanzitutto i musulmani non hanno identità con il potere politico come lo esprime il califfato. L’islam tende a dirigere la politica, e questo è spesso un errore delle religioni. Ma noi dobbiamo smettere di chiamare stato islamico il califfato, lo stato del califfato è un progetto di potere e di dominio che va a vantaggio di gruppi dominanti ristretti, ricchissimi e feroci.
Dunque non si fa azione di prevenzione verso i giovani attirati dal terrorismo attaccando l’islam; si deve invece far vivere la misericordia e l’incontro delle persone e delle comunità come dimostrazione della ragionevolezza dei credenti e delle idealità. Il romanzo, uscito ieri anche in Italia, di Antoine Leiris, il giornalista francese che ha avuto la moglie uccisa dai terroristi negli attentati del 13 novembre scorso, ha un bellissimo titolo: “non avrete il mio odio”.
Io aggiungo che si deve affermare con forza che la politica è il luogo del possibile nella vita dei paesi, e non il luogo dell’individualismo. Neppure se penso alla Padania e all’ampolla di acqua del Po da raccogliere alla sorgente e da versare a Venezia. La solitudine dell’uomo moderno sconvolge i nostri giovani, che cercano nella comunicazione virtuale un’amicizia impossibile. Non a caso il reclutamento del califfato avviene con l’uso scaltro della rete. Dobbiamo mostrare che esiste il popolo prima della politica, esiste la responsabilità e il desiderio di fare insieme che si riceve da un’adeguata educazione e che spiega la grande operatività costruttrice presente nel lavoro e nella famiglia.
La grande povertà del nostro tempo è la solitudine, il grande gioco del cinismo al potere è di accentuare questa solitudine. Questa è la battaglia che dobbiamo fare: “non avrete il mio odio, perché sono impegnato nell’amore”.