Qual è il compito della comunità di credenti in un tempo tumultuoso come quello che ci è dato di vivere? Un tempo carico di speranze, ma anche di rischi e di paure? In cui l’uomo, sempre più capace e potente, rischia di finire vittima di se stesso e dei mezzi che egli stesso crea? Con il suo messaggio, papa Francesco prende sul serio la domanda posta dalla XXXIV edizione del Meeting di Rimini. E anzi la rilancia, confermando che essa costituisce uno degli assi attorno a cui il suo pontificato, in linea con quello di Benedetto XVI, è e sarà centrato. Nel testo, in particolare mi ha colpito una frase: “Il potere teme gli uomini che sono in dialogo con Dio poiché ciò rende liberi e non assimilabili”. Una frase profonda che rimanda direttamente al Vangelo – “Date a Cesare quel che è di Cesare” – e che costituisce una chiave di lettura dell’intera storia della Chiesa nel mondo: la religione cristiana come intrinsecamente associata alla storia della libertà!
Gli storici ci dicono che la Chiesa cattolica – e con essa il cristianesimo -, sin dalla sua origine, ha avuto ben chiara la consapevolezza che il piano su cui si pone la religione non è immediatamente quello politico. E proprio per questo, almeno fino alla Riforma e alle sue conseguenze, l’Europa cristiana ha sempre mantenuto un doppio registro – da un lato, quello temporale, dall’altro quello spirituale – in una costante ricerca di una difficile ma proficua convivenza. Con la diaspora cristiana prodottasi con la Riforma, questi due piani hanno cominciato a sovrapporsi, spingendo verso una più esplicita identificazione tra potere politico e potere religioso (secondo l’espressione “cuius regio eius religio”) che ha costituito una delle premesse per la nascita degli stati nazionali moderni. Identificazione che, alla lunga, ha dato forza al potere politico e indebolito il potere religioso, nel quadro di quel complesso processo che chiamiamo “secolarizzazione”.
L’ultima fase storica alle nostre spalle – la globalizzazione – è importante perché ha cominciato a rimettere in discussione quell’assetto. Il mondo è diventato globale nel senso che la vita sociale è oggi organizzata attorno a un unico apparato tecnico-economico planetario in grado di dettare standard, procedure, criteri di riferimento. A cui lo stesso potere politico democratico deve adeguarsi. Da qui, le difficoltà dello stato nazionale e della politica tradizionale, il cui potere effettivo tende a ridursi.
Parallelamente, però, questo processo favorisce il ruolo di quei soggetti – quali le grandi religioni e in modo particolare la Chiesa cattolica – che sono in grado di porsi come interlocutori, su scala globale, della stessa condizione umana. Un ruolo anche di recente confermato dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio. È in tale contesto che la frase di papa Francesco può essere adeguatamente compresa. Infatti, qual è il potere che oggi teme gli uomini che sono in dialogo con Dio?
In parte, vale ancora la risposta del XX secolo: nel mondo esistono ancora sistemi politici che pretendono di dominare integralmente la società civile. Ma, più diffusamente, oggi è il potere impersonale degli apparati tecnico-economici – che Vaclav Havel riconduce alle nuove forme “post-totalitarie” – a pretendere la nostra piena obbedienza. Papa Francesco ci dice cha la comunità dei credenti – nella fedeltà alla sua origine – ha come compito quello di essere un luogo di libertà rispetto alla chiusura autoreferenziale di qualsiasi potere umano. Grazie alla fede che le è stata donata, essa ha la responsabilità di porre domande scomode al potere di turno, di non accettare il politically correct, di rifiutare qualsiasi violenza e ingiustizia. Continuando a pensare l’uomo come avvolto in un mistero che gli impedisce di scivolare nel delirio di onnipotenza.
Non un giudizio aspro o amaro, ma una critica che parte dall’amore per l’uomo e il suo destino. Una Chiesa che non disprezza la politica, ma non la idolatra. E che, contro tutti i fondamentalismi, è convinta che proprio la libertà religiosa costituisca una questione qualificante di una civiltà rispettosa dell’uomo.
Dal messaggio del Papa, il titolo del Meeting – “Emergenza uomo” – trova così una nuova profondità. Sì, certo, c’è un’emergenza che viene proprio dall’uomo di oggi che rischia di distruggere se stesso e il mondo in cui vive nella misura in cui rimane imprigionato in un pensiero autocentrato e autoreferenziale. Ma c’è anche l’emergenza positiva di un uomo nuovo che si fa largo in una storia millenaria di libertà tendente a una pienezza che la fede ci permette di intravvedere.
Essere lievito per la storia di libertà dell’uomo è un compito entusiasmante per la comunità dei credenti. Aiutiamoci a compierlo insieme.