Ci sono diverse cose, diciamolo, che col tempo diventano un incubo, soprattutto quando dopo un anno di lavoro arrivi alla meta delle vacanze fra Natale e Capodanno. E sembra sempre che tutto ci porti via, lontano dai nostri bisogni e anche dai significati, ad esempio quelli di un ritrovarsi.
E’ un incubo azzeccare il regalo giusto, è stucchevole il barista che ingrana la tiritera “passate bene le feste? anziché dirti il solito buongiorno e buonasera. Anche perché, queste, sono le classiche domande che non tollerano risposte diverse: “Passate bene le feste? Ma sa, mi è morto il gatto…”. E quello manco ti ascolta. O come quelli che salutano incontrandoti dopo tanto tempo e ti dicono “E allora?”. E tu rimani lì come un ebete: “Allora cosa? Ma dove cavolo sei stato in tutto questo tempo, mentre ho perso il lavoro, il cane è depresso, la zia ha l’alzheimer e il vicino di casa non mi fa dormire la notte?”.
Però l’incubo degli incubi, quello vero, che hai cercato di evitare per anni, rimane uno solo: “il Cenone di Capodanno”. E qui i casi sono due: se il Cenone avviene in casa di qualcuno è un imbarazzo vedere i padroni che si fanno un mazzo così a cucinare tantissime cose, di cui francamente faresti a meno. Se invece sei in un ristorante l’incubo assume i contorni del salmone in bellavista e del “risottino” (odioso questo diminutivo) allo Champagne, come un menu sbiadito dei primi anni Sessanta.
“Dai mangia, che la dieta inizia domani”. E tu magari c’hai il diabete e una dozzina di intolleranze e a qual punto devi umiliarti a dichiarare la tua cartella clinica davanti a tutti. Il cenone di Capodanno è una boiata pazzesca, la dico alla Fantozzi: anacronistico per un popolo ipernutrito, uno spreco, oltreché un imbarazzo.
C’è poi il capitolo vini, che in questi casi raggiunge l’apice quando viene servita la bottiglia di Champagne secco sul dolce, dopo averla utilizzata per fare il botto. Robe da rozzi straprovinciali; ma se lo dici rischi di passare per uno snob anzi un fighetto che si trastulla a sentire i profumi dei vini più strani. Un pirla insomma, anche se il botto era con un Dom Perignon del 2007.
Detto questo io mi dichiaro: sono contro il cenone. E spero di fare un partito (più o meno numeroso come quello di chi vuol liberare i nani da giardino) che sposi la giusta causa. Sarà di sinistra o di destra? Mah, il cenone è popolare, ma anche radical chic: difficile da classificare, sicuramente è renziano (si può dire di tutto, ma quello proprio non ce l’ha il fisico da abbuffate della prima Repubblica).
Scherzi a parte mi piacerebbe un ultimo dell’anno con un menu almeno da casa Savoia, che vira più verso quello alla francese dove ogni portata è sul tavolo e ciascuno si serve di ciò che gli aggrada. Il menu alla russa e invece quello in voga in Italia: antipasti, primi, secondi, dolci (tutto al plurale – sigh – sennò che Cenone è?). La variante piemontarda è invece con un piatto caldo, importante, che arriva nel mezzo. Ho un’idea? Il cotechino con le lenticchie! E il vino? Lambrusco di Sorbara con cotechino o zampone, ma anche un brut a tutto pasto. E alla fine, visto che i botti sono vietati, la miglior bottiglia della cantina di casa propria.
Quella che vorresti condividere coi migliori amici, così come con loro vuoi condividere tutta la vita. Anzi, già che il mio Cenone ideale è abbastanza veloce, anziché fare andare solo le mandibole, alternandole a gossip e cazzate di vario genere (nel menù del 31 dicembre non mancano mai), diamoci del tempo a cantare, a giocare, a ballare. Lo hanno detto anche i giornali: troppa sedentarietà fa male. E io aggiungo: soprattutto l’ultimo giorno dell’anno. Auguri!