Oggi, 10 aprile 2015, si ricordano le 140 vittime della tragedia della nave Moby Prince. Una tragedia della quale oggi ricade il 24esimo anniversario, e che sarà ricordata a Livorno, località nella quale, appena fuori dal porto, avvenne, con l’urto della nave della compagnia Moby contro la petroliera Agip Abruzzo che era ormeggiata nella rada antistante il porto di Livorno, lo scontro. Nella giornata di venerdì sono in programma una serie di iniziative a Livorno, raccolte sotto il titolo “Per non dimenticare”, con inizio alle 9.30 del mattino quando si terrà un incontro presso la sede dell’Associazione “140”, nata per ricordare le vittime della tragedia, incontro al quel parteciperanno anche alcuni parlamentari della commissione trasporti di Palazzo Madama, in modo da accelerare la costituzione di una “commissione parlamentare” d’inchiesta che riesca finalmente a far luce sulla disgrazia, dopo che ancora non sono state individuate, a distanza di 24 anni, le responsabilità.
A seguire, alle 12,00, presso il Duomo di Livorno, si terrà la cerimonia religiosa di commemorazione; nel pomeriggio riunione presso la sala consiliare del Comune, con il Sindaco che saluterà sia i familiari delle vittime della Moby Prince, che le autorità presenti. Poi un corteo che attraverserà parte della città fino al porto e successivamente la deposizione presso l’Andana degli Anelli di un cuscino di rose, donato da Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica. In occasione di questo 24esimo anniversario il figlio del comandante della Moby Prince, Luchino Chessa, ha voluto scrivere una “lettera aperta” a Matteo Renzi, nella quale si sollecita l’apertura degli archivi di Stato, per poter fare così piena luce sulla vicenda. Chessa sottolinea nella lettera al Premier come i familiari siano ancora in attesa della verità dopo così tanto tempo, e sperano ancora in una giustizia che plachi almeno in parte la loro rabbia. Nel corso della riunione che si è tenuta presso il consiglio comunale di Livorno lo scorso 30 marzo, nella quale è stato presentato il programma delle commemorazioni, ha parlato anche l’assessore alla cultura del comune labronico Serafino Fasulo, il quale ha sottolineato come nonostante siano già state portate a termine due inchieste e nonostante durante queste inchieste siano emerse una serie di circostanze di estrema gravità, ad oggi le cause restano ancora avvolte nel mistero. L’assessore ha poi sottolineato come la città di Livorno e l’intero consiglio comunale si sentano molto vicini alle famiglie delle vittime che continuano a portare avanti con molta dignità le iniziative in cerca della verità. Secondo Loris Rispoli, presidente dell’associazione familiari delle vittime, alla tragedia della perdita dei congiunti si aggiunge quella della mancata giustizia. Ma facciamo un passo indietro. Era la sera del 10 aprile 1991, poco dopo le 22.00, ora di partenza del traghetto Moby Prince dal porto di Livorno, diretto ad Olbia, con 141 persone a bordo, 66 persone di equipaggio e 75 passeggeri. La Moby Prince era una nave moderna, in grado di trasportare 360 auto e più di 1300 passeggeri, in quel viaggio era quindi quasi vuota. La collisione avvenne appena fuori dal porto tra la prua della Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo, che fu colpita all’altezza della cisterna n° 7. L’uscita di petrolio che seguì l’impatto e le scintille provocate dallo sfregamento delle lamiere della due navi provocarono immediatamente un incendio che avvolse la Moby Prince. I soccorsi non furono immediati e partirono solo dopo che dalla Agip Abruzzo erano state lanciate varie richieste. L’incendio si propagò alla Moby Prince, ma non avvolse subito tutta la nave, in quanto a bordo c’erano le paratie tagliafuoco. La gran parte delle vittime della tragedia venne trovata nel salone DeLuxe, dove erano state radunate dal personale di bordo, che attendeva l’arrivo immediato dei soccorsi data la vicinanza della nave all’imboccatura del porto. L’individuazione della Moby Prince, che avvenne solo alle 23.35 più di un’ora dopo la collisione, fu però molto difficile perché con il motore ancora in funzione la nave si allontanò di alcuni chilometri girando anche in cerchio. Il salone DeLuxe, che era dotato sia di porte che di pareti tagliafuoco e che era situato vicino alla prua, fu però “scavalcato” dalle fiamme che lo circondarono e resero quindi impossibile l’uscita. Le autopsie sui corpi delle vittime, effettuate in seguito confermarono che nel loro sangue c’era una elevata concentrazione di monossido di carbonio, e quindi molte rimasero in vita per ore, anche in stato di incoscienza, morendo non solo per le fiamme, ma anche per asfissia. Oltre alle salme che vennero ritrovate all’interno del salone, altre – tredici – furono trovate in ambienti diversi come, ad esempio, sul ponte imbarcazioni, dodici delle quali appartenenti a membri dell’equipaggio della Moby Prince, due nell’atrio destinato all’abbandono nave, una della quali il comandante Chessa, una tra ristorante e discoteca, due nella zona delle cucine ed altre nella zona cabine ed in un vestibolo. Una sola la vittima per annegamento, Francesco Esposito, che sulla Moby Prince era impegnato come barista. Durante le indagini si è indicato come una delle possibili cause della collisione l’errore da parte dell’equipaggio, che aveva fatto scendere anticipatamente il “pilota del porto”, e non aveva messo in atto la dovuta attenzione per le procedure di uscita, mantenendo anche una velocità troppo elevata. Alcune voci che erano venute fuori subito dopo la tragedia parlavano anche di una disattenzione dell’equipaggio, che era distratto da una trasmissione televisiva, quella della partita di calcio tra Juventus e Barcellona. Un’ipotesi che però l’unico superstite della tragedia, il mozzo Alessio Bertrand, che era al suo primo viaggio, ha smentito nel corso degli interrogatori a cui venne sottoposto, dichiarando di aver portato dei panini in plancia di comando all’equipaggio che si trovava appunto a dirigere la navigazione. Una delle cause ufficiali fu individuata nella presenza della nebbia in zona, ma anche il ritardo dei soccorsi, che in un primo tempo si portarono tutti verso l’Agip Abruzzo, fu sicuramente importante per la conclusione della tragedia. Il salvataggio del mozzo napoletano fu effettuato da due ormeggiatori che raggiunsero la zona su una piccola imbarcazione e salvarono Alessio Bertrand, sollecitandolo a lanciarsi in mare dopo che lui era rimasto a lungo attaccato ad un parapetto nella zona poppiera della nave.