Alcuni giorni fa degli operai intenti alla ristrutturazione di un padiglione del Policlinico di Milano hanno aperto un controsoffitto e sono precipitate le raccolte di documenti della cellula ospedaliera delle Brigate rosse. Per ricordare: sono quelli che uccisero il direttore sanitario Luigi Marangoni, e che gambizzarono l’avvocato Dc Massimo De Carolis.
Gli inquirenti stanno vagliando i documenti e cercano informazioni sulla composizione di quella cellula. Qualcuno è noto, è stato in carcere e poi è uscito andando a fare attività sociali.
Sarebbe interessante ricostruire la ramificazione dentro la vita dell’ospedale, fra presenze pubbliche per attività sindacali e di rappresentanza, al fine di ricostruire com’era allora il connubio fra estremismo e critica sociale. Perché uccidere un direttore sanitario? Perché intimidire i dirigenti e imporre un potere intoccabile in ambiente di lavoro? E capire anche l’azione contro De Carolis, che allora era il simbolo della maggioranza silenziosa, ovvero di un movimento che si opponeva all’estremizzazione della lotta di classe.
Nella storia di Milano ci sono tante continuità dalle radici ideologiche improntate a comunismo e fascismo, alcuni aspetti ci raggiungono ancora oggi; malgrado lo smantellamento delle ideologie, rimangono le mitizzazioni della lotta e dell’odio di parte. Sono cambiate le parole ma non gli atteggiamenti, anche se recitano solo per eccitare lo schieramento in politica: sinistra-destra, onesti-disonesti, padroni-lavoratori.
Il Policlinico, un grande ospedale nella storia di Milano, come poteva dare motivazione a una cellula delle Brigate Rosse? Infiltrati tra medici, infermieri, studenti universitari presenti nelle attività formative, come potevano trovare senso nell’idea di abbattere lo Stato e far pesare le idee di una parte imponendole con la violenza?
Provate a immaginarvi il rapporto con i malati ispirato a un’idea dura di diritti e di lotta di classe. Voleva dire subordinazione a un’idea delle persone, del conforto, della cura. E’ possibile che vi sia stato un tale modo di essere in un siffatto posto di lavoro? Sembra una cosa di altri tempi.
Ma se cerchiamo di capire, ne ricaveremo interessanti domande sulle logiche del terrorismo attuale, ma anche — attenzione — sulla sete di potere che si trova oggi in ogni parte politica. Possiamo allora interessarci alle Brigate rosse per vedere come operano la presunzione e l’arroganza, l’odio e la violenza, e tanti altri tratti del comportamento umano nella vita pubblica come espressione della persona che non cerca e non impara dall’esperienza, ma si autodefinisce e si rinchiude in un proprio immaginario.
Molti in questi giorni si sono eccitati alla pubblicazione del Mein Kampf, il manuale politico di Hitler. Sono stati attratti dall’enorme potere storicamente suscitato da idee che tutti ci dicono assurde. Ma pochi capiscono che Hitler non era geniale, ero solo estremamente determinato nelle sue idee, contro tutti, per farle diventare la strada del potere assoluto. Sempre ci sono stati dittatori stupidi, ma con la forza dell’invincibile ottusità delle loro idee. Si capisce anche come certi figli delle famiglie-bene di Dacca si siano autopromossi assassini e torturatori di cristiani e di occidentali.
Occupiamoci allora di capire come diventare portatori di umanesimo e di desiderio di pace, e non smettiamo di guardare con senso critico ogni precipitare nell’estremismo.
Io ricordo come noi, all’epoca, a causa delle Brigate Rosse perdemmo ogni spazio per la nostra presenza impegnata e tesa all’ideale politico. Le Br si impossessarono della protesta sociale e della ricerca di una vita migliore, non si poteva più parlare se non stando al gioco del potere e dei rivoluzionari. Poi ci sono stati i pentiti e i carcerati condonati. Quante accoglienze ci sono state, particolarmente per quelli che non hanno detto la verità, non hanno smascherato i giochi di potere fatti dalle e nelle Br. Ma il potere — si sa — accoglie i suoi, se tacciono e si dimostrano capaci di servilismo.