Ha lasciato un video-testamento prima di morire la povera Rosita Raffoni, 16enne uccisasi a giugno del 2014, dopo che non ce la faceva più a vivere nell’odio dei suoi genitori. E il messaggio è proprio rivolto a loro, al padre e alla madre, che non l’hanno mai capita, che l’hanno spinta a togliersi la vita, e che ora dovranno convivere con questo gigantesco rimorso fino alla fine dei loro giorni. Un gesto, quello di lasciare il video-messaggio prima di morire, che ricorda da vicino la nota serie tv che ebbe molto successo un anno fa di questi tempi, leggasi “13 reasons why”, telefilm americano in cui un’adolescente (la protagonista), registra su 13 diverse videocassette i 13 motivi che l’hanno spinta a suicidarsi. Questa volta, però, non si tratta di finzione, bensì di una tragica vicenda reale. I pubblici ministeri, nell’atto di accusa, hanno affermato che i destinatari del messaggio lasciato da Rosita sono i genitori, per far capire loro quanto la figlia si sia sentita sola e incompresa, e anche gli inquirenti, di modo che questi potessero fare luce su quanto accaduto. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
IL VIDEO-TESTAMENTO PRIMA DI MORIRE
La 16enne Rosita Raffoni, prima di togliersi la vita gettandosi dal tetto di una scuola decise di compiere un ultimo disperato grido di dolore e che oggi viene letto come un atto di accusa diretto e durissimo nei confronti dei suoi genitori. Questi ultimi sono finiti a processo e proprio oggi è stata chiesta per loro la condanna a 6 anni per il padre e 2 e mezzo per la madre. Sarà la Corte d’Assise ad esprimersi nelle prossime settimane in merito alle responsabilità dei due genitori. Certamente i magistrati non hanno potuto ignorare quello che è stato definito una sorta di “testamento-denuncia”. Al termine della requisitoria, spiega Il Messaggero, a porte chiuse è stato fatto sentire un lungo filmato che la 16enne suicida aveva girato poco prima del gesto, nel giugno 2014. La sua voce è spesso rotta dalle lacrime ma le accuse ai genitori sono state perfettamente udibili. “Mi odiate, non mi rimpiangerete”, questo in sintesi in messaggio lasciato dalla giovane che usa spesso la parola “odio”, come quello che a sua detta avrebbero provato contro di lei madre e padre. Poi ribadisce di non essere mai stata capita, né accettata per quello che era e con il suo gesto avrebbe voluto lasciare un segno decisivo. Eppure è sempre Rosita a spiegare di essere dispiaciuta all’idea di lasciare la vita. Avrebbe voluto tanto andare all’estero, avere un ragazzo, essere felice e rendere felice qualcuno. Ma la sua vita da “segregata” è troppo per lei. Sembra essere anche consapevole dei problemi che le sue parole potrebbero portare, proprio a quei genitori che, a sua detta, non la piangeranno neppure da morta ma che, forse, solo ora potranno comprendere le sue ragioni. Le stesse che la 16enne ha spiegato filmandosi prima di morire. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
RICHIESTE LE CONDANNE AI GENITORI
Sono state emesse le richieste di condanna da parte della pubblica accusa, nei confronti dei due genitori di Rosita Raffoni, la ragazza che nel 2014 si suicidò. Sei gli anni di carcere richiesti per il padre, due e mezzo quelli per la madre, ritenuti colpevoli per le ipotesi di reato di istigazione al suicidio (solo il padre) e maltrattamenti fino alla morte (anche la madre). La mattina del 17 giugno del 2014, la giovane ragazza si gettò nel vuoto dal tetto del liceo classico di Forlì, che la stessa frequentava. Prima di suicidarsi lasciò un messaggio scritto e un lungo messaggio vocale nel telefonino in cui accusò in particolare il padre di averla maltrattata e di averla appunto spinta a quel gesto estremo.
“COMPORTAMENTO GENITORALE DISFUNZIONALE”
Subito dopo la morte venne aperto un procedimento giudiziario nei confronti del padre, e quindi della madre, che ha poi portato al processo presso il tribunale di Forlì. Roberto Raffoni, è considerato quello maggiormente colpevole dei due genitori, ma anche la madre, Rosita Cenni, sarebbe in qualche modo responsabile della morte della figlia. Il pubblico ministero Sara Posa durante la sua requisitoria, ha definito i rapporti fra i genitori e la figlia come un “comportamento genitoriale disfunzionale”. Inoltre, la stessa coppia, era consapevole del ruolo “predisponente e cogente” nei confronti della figlia, e non avrebbero fatto nulla per stoppare questo comportamento, che poi ha spinto la povera ragazza a togliersi la vita, nonostante madre e padre sapessero delle malsane idee della giovane.