Il prossimo 18 maggio ricorrerà il 30esimo anniversario della morte di Enzo Tortora, il popolare conduttore televisivo, autore e giornalista stroncato all’età di 59 anni da un tumore ai polmoni. In realtà, la sua morte era avvenuta ancor prima, quando fu travolto da ignobili accuse, tra cui quella di far parte della Nuova Camorra Organizzata e di essere un corriere della droga. Solo quattro anni dopo da quelle accuse, sette mesi di carcere e molti altri ai domiciliari fu fatta luce sulla sua posizione, e Tortora fu totalmente scagionato. Tutto quel dolore provato fino a quel momento, però, non sparì mai tanto da portarselo dietro fino alla sua morte, trasformando Enzo Tortora nel principale esempio di errore giudiziario italiano. Negli ultimi 30 anni si è tentato in tutti i modi di riabilitare l’immagine del celebre conduttore tv, titolando strade, piazze e scuole, ma per la figlia Silvia, tutto sarebbe rimasto tristemente invariato: “Sono 30 anni di amarezza e disgusto”, dice oggi, come riporta l’agenzia di stampa Ansa. Il caso del padre, infatti, avrebbe potuto portare ad una grande rivoluzione in merito al sistema giudiziario italiano, ma così non è stato. “I processi continuano all’infinito. Anzi in 30 anni c’è stata una esplosione numerica”, ha osservato Silvia Tortora, denunciando come ormai le persone siano sempre più “assuefatte all’ingiustizia” e quindi ribadendo il “generale imbarbarimento” al quale siamo andati sempre più incontro. Ad essere cambiato in peggio, negli ultimi 30 anni, secondo la figlia di Enzo Tortora sarebbe stata anche la televisione, ben lontana da quella “improntata sul garbo, l’empatia e l’educazione” che il genitore era riuscito a creare. “Vedo trasmissioni su casi giudiziari, dove non c’è mai un’ottica dubitativa”, commenta.
ENZO TORTORA, LA VICENDA GIUDIZIARIA
Quanto accaduto a Enzo Tortora è stato un vero e proprio “sacrificio”, come commenta oggi la figlia Silvia, a 30 anni dalla morte. Il popolare conduttore, volto di Portobello, era all’apice del suo successo quando la notte del 17 giugno 1983, alla vigilia della firma del contratto con il quale veniva confermata la nuova edizione dello show, fu raggiunto presso l’Hotel Plaza a Roma ed arrestato. Solo all’alba, però, sotto lo sguardo di telecamere e fotografi e con le manette ai polsi ben in vista fu trasferito in carcere. Le accuse a scapito del conduttore sono quelle di essere parte integrante della nuova Camorra Organizzata come emerso da due ‘pentiti’ dell’organizzazione, Pasquale Barra e Giovanni Pandico. A loro in breve tempo si aggiunsero altri fantomatici testimoni che arricchirono il loro racconto di ulteriori presunti particolari. Ad incastrare il presentatore televisivo fu un’agendina sulla quale era presente il suo nome. Si scoprì in seguito che in realtà quello scritto non era “Tortora” bensì “Tortona”. Al centro dell’inchiesta anche alcuni centrini che Pandico inviò dal carcere a Portobello ma che furono poi smarriti. Quei centrini, secondo alcuni pentiti furono delle partite di droga che vedevano coinvolto proprio Enzo Tortora, condannato nel settembre 1985 a 10 anni di carcere per associazione a delinquere di tipo mafioso e traffico di stupefacenti. In Appello, nel 1986 fu assolto con formula piena ma la vicenda giudiziaria si concluse definitivamente nel giugno 1987 quando si espresse anche la Cassazione. L’anno seguente morì.