Caro direttore,
mercoledì mattina 24 agosto ore 3,42. Mi sveglio di soprassalto per un sobbalzo del mio letto. Mi trovo a Rimini per partecipare al Meeting con alcuni amici. Nessuno grida, neppure io, ma mi affido alla misericordia di Dio e riprendo il mio sonno, in verità un po’ agitato.
La mattina la radio e la tv inondano le case e gli alberghi con la dolorosa notizia del terremoto che ha seminato morte e distruzione nel Centro Italia, con l’onda che si è avvertita dalla Romagna alla Campania.
Immediati i soccorsi, giunti da ogni parte. Vigili del fuoco, Croce Rossa, Misericordie, volontari, tutti all’opera per scavare ed estrarre dalle macerie i sopravvissuti e innalzare tende e ripari per chi ha perduto tutto. Episodi commoventi, come la bambina estratta da un vigile del fuoco e le due famiglie salvate da un gigante buono. Non si contano esempi di dedizione e di solidarietà, a tal punto che le autorità locali pregano di non fare più arrivare volontari e derrate alimentari, perché più che sufficienti al bisogno. La presenza delle massime autorità dello stato testimonia la vicinanza delle istituzioni alla popolazione colpita.
Questi i fatti che tutti conoscono. Non può mancare la domanda: Dio c’entra in tutto questo? E’ la domanda che ha per il momento chiuso la settimana della tragedia.
Da un lato il Vescovo di Ascoli ha gridato il suo dolore al cielo, dall’altra il Vescovo di Rieti ha affermato che la colpa non è di Dio, ma degli uomini che non operano secondo rettitudine (vedi il crollo di molti edifici, recentemente ristrutturati, ma in maniera inadeguata; le inchieste indicheranno le responsabilità di amministratori e costruttori).
L’onere della prova, direbbe qualcuno.
A Rimini il tema del Meeting era: “Tu sei un bene per me”. Ma la parola che è riecheggiata in tutti gli interventi e presente anche nelle mostre è stata: Misericordia.
Abbiamo visitato la mostra sugli emigranti, sul recupero delle opere della Basilica di Betlemme, sulla proposta educativa per i prigionieri dell’APAC in Brasile, sulla figura di Santa Teresa di Calcutta, sul lavoro nelle periferie delle Suore di Carità dell’Assunzione, e così via, ma centrale è stata la mostra sulla Misericordia.
Così tutti gli incontri hanno messo in evidenza questo nome di Dio, parafrasando il titolo dell’ultima intervista a Papa Francesco, dal primo all’ultimo incontro con padre Spadaro, che ha tratteggiato come la misericordia possa essere uno strumento efficace anche in politica(lo mostra l’azione del Papa in questi tre anni).
Ora se misericordia è la connotazione di Dio, come si accorda questo con il dramma di Amatrice e degli altri centri colpiti dal terremoto?
Questa è la sfida che non da oggi è posta di fronte a noi. Dio non ha bisogno di essere difeso, ma si pone di fronte a noi come per “giustificarsi”, come ha scritto il Papa emerito Benedetto XVI.
Non è la prima volta negli ultimi tempi. Dagli attentati alle Torri gemelle, a quelli di Londra, Madrid, Parigi, Bruxelles. Dalle guerre atroci come le guerre mondiali a quella che Papa Francesco chiama “terza guerra mondiale a pezzi”, come in Iraq, Siria,Terra Santa, Eritrea e altri Stati.
Don Julián Carrón ha evidenziato questo “cambiamento d’epoca”, commentando le parole di Benedetto XVI, dicendo che “in un certo senso, è Dio che deve giustificarsi davanti all’uomo e non viceversa; è Dio, paradossalmente, che… deve mostrare di essere all’altezza dell’uomo, della sua richiesta, del suo grido”.
Perciò si può gridare a Dio. Oppure si può rimanere in silenzio, come Papa Francesco ad Auschwitz. È quanto è avvenuto in questi giorni. Dio non si sottrae all’onere della prova. Ci è stato documentato ampiamente, dai tempi di Giobbe fino ad oggi, passando dal Golgota e dal sepolcro.
Se l’invito a non trasformare questo momento in contrapposizione politica, come ha richiamato il Vescovo di Rieti, è ampiamente condivisibile, altrettanto conveniente è che non diventi una querelle teologica.
A noi rimane il compito di trasformare il dolore in letizia, la solitudine in amicizia, la morte in resurrezione. Come scriveva Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica “Salvifici doloris”, la sofferenza e il dolore generano amore.
In questo ci schieriamo dalla parte di Dio, ma anche dell’uomo, non per giustificare la morte e la sofferenza, ma per riscoprirne il senso più profondo. Nel mistero della Morte e Resurrezione del suo Figlio.
L’umanità di questa gente, accompagnata da una fede semplice e sincera anche in questo momento di dolore, è il segno già evidente di questo cambiamento.