Le dichiarazioni sull’immigrazione di mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, hanno avuto un merito, il solito merito. Quello di accomunare gli italiani nello sport più diffuso: la divisione in tifoserie, in favorevoli e contrari (ma a cosa o di cosa non si capisce), per consentire, soprattutto nelle discussioni di questi giorni sotto l’ombrellone, molto simili a quelle del lunedì mattina al bar dello sport, di difendere i colori sociali della propria squadra, indipendentemente dal fatto che abbia giocato bene o no.
Tanti anni fa, quando le partite si seguivano in diretta solo per radio, accompagnate dal commento di Enrico Ameri o Nando Martellini, un fortunatissimo “comunicato commerciale” concludeva la trasmissione invitando gli ascoltatori “a brindare” o “a consolarsi” con un altrettanto famoso liquore, sia che la squadra del cuore avesse vinto sia che avesse perso. Oggi, quando la squadra del cuore perde (e spesso anche prima di giocare) ci si “consola” distruggendo gli stadi o gli spazi adiacenti, accoltellando i tifosi avversari e poi talvolta ci scappa magari il morto.
Altri tempi, si direbbe; ma che c’entra con la questione immigrazione? C’entra, perché Galantino pensiamo si sia fatto portavoce di una domanda, semplice e reiterata che è di tutti: ma c’è qualcuno che ha un disegno, una strategia, un programma per affrontare in termini seri la vicenda immigrazione? Al di là della percezione che ciascuno può avere del fenomeno, il fenomeno esiste e chi ci guida sa dove portarci per venirne a capo? Se non c’è in Italia, c’è forse in Europa, visto che il problema è di tutti? Nella prima guerra mondiale perfino il generale Cadorna aveva una strategia; non andò a buon fine; ci volle Caporetto, ma poi Diaz con un’altra strategia e il concorso e l’eroismo di tutti, portò alla vittoria. E allora, di fronte ad una domanda così semplice cui nessuno da mesi sa dare una pur minima prospettiva, abbiamo ripreso ad aggregarci tra favorevoli e contrari. La triste e dura verità è che nessuno ha questa risposta e per dimostrarlo raccontiamo quanto è successo di recente in Sicilia.
Com’è noto, sabato 8 agosto un uomo di 77 anni, dopo essere stato aggredito nei pressi di Cefalù da alcuni cinghiali selvatici, è morto, mentre la moglie di 73 anni si è salvata perché si è rifugiata in casa per chiamare soccorsi. La vicenda ha colpito l’opinione pubblica, anche quella nazionale, perché il problema della proliferazione indiscriminata dei cinghiali riguarda molte regioni italiane.
Tra espressioni di condoglianze, grida di indignazione e appelli a fare in fretta, visto il rischio che il fatto potesse ripetersi, l’Assemblea regionale siciliana… udite udite, è riuscita, in sole 24 ore, a fare una legge (per la verità una norma) in grado di affrontare e risolvere il problema, subito.
Contravvenendo alle rigide procedure del Regolamento parlamentare che non prevedono di legiferare velocemente per i casi di urgenza (in Sicilia non esiste il decreto legge) si è riusciti a scrivere e approvare un articolo dedicato, casualmente “appostato” in una legge in discussione quel giorno, la quale trattava di utilizzo pubblico e privato di acqua (chissà come sarebbe finita se quel giorno si fosse legiferato di turismo o di nuovi diritti). Ma tant’è. Il Parlamento è sovrano.
Il testo prevede che in Sicilia si potranno abbattere o catturare cinghiali e altri animali selvatici «ai fini della tutela della biodiversità nonché per gravi e urgenti ragioni di interesse pubblico». Il testo prevede poi, nel suo unico articolo, piani di cattura o abbattimento «nel caso di abnorme sviluppo di singole specie tale da compromettere gli equilibri ecologici o tale da costituire un pericolo per l’uomo o un danno rilevante per le attività agrosilvopastorali». Ovviamente ciò dovrà accadere nei parchi, nelle riserve e nelle aree della rete Natura 2000. Inoltre, «eventuali prelievi faunistici e abbattimenti selettivi sono limitati a quelli necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dal gestore dell’area protetta, avvalendosi di specialisti del settore con comprovato curriculum scientifico ovvero professionale, tali attività non costituiscono in nessun caso esercizio di attività venatoria». Tradotto, significa che solo il personale specializzato potrà essere adibito a tale compito e che in carenza si metteranno in atto i soliti e immancabili corsi di formazione specifici.
Al momento si può ipotizzare, in attesa dei corsi di formazione, il coinvolgimento delle trentaquattro guardie venatorie presenti nel parco dei Nebrodi, visto che in quello delle Madonie non ve ne sono. I commentatori più avveduti hanno affermato che il primo dei circa 5mila cinghiali presenti nel Parco delle Madonie (ma v’è chi sostiene che siano almeno il doppio) potrebbe essere abbattuto non prima di settembre/ottobre.
Ed ora la parola degli ambientalisti/animalisti. “Nel caso dei cinghiali, l’approccio venatorio dimostra tutto il suo fallimento — secondo Massimo Vitturi della Lav —. Uccidere gli animali per contenerne il numero non ha senso perché comporterebbe inevitabili squilibri nella struttura sociale delle specie selvatiche che saranno indotte a riprodursi di più”. L’alternativa proposta dalla Lav è una campagna di sterilizzazione di massa dei suinidi, ma nel frattempo quelli in vita continueranno a cercare cibo, anche avvicinandosi pericolosamente ai centri abitati, come più volte denunciato dai sindaci dei comuni interessati.
E poi i cacciatori. E’ certo che non dovranno in alcun modo intervenire, anche perché si è evidenziato che la carne di cinghiale ha notoriamente un valore economico ed allora si aprirebbero nuovi e inquietanti scenari: quello dei cacciatori che danno la caccia ai cinghiale per soldi e per gustarne la carne. Ma vi è anche un altro motivo per sconsigliare caldamente di intervenire: dopo il caso del leone Cecil rischierebbero la gogna mediatica a vita e forse qualcosa di più.
Ed ora il partito dei sindaci. Da tempo e ripetutamente hanno evidenziato la gravità della situazione, prendendo rimbrotti e denunce, soprattutto quando hanno fatto seguire alle parole i fatti. “Avevo firmato un’ordinanza per l’abbattimento controllato — dice Angelo Tudisca, sindaco di Tusa — ed ho ricevuto una denuncia dalla Lav”. “Oggi — aggiunge Inguaggiato, sindaco di Petralia — i sindaci non possono più attendere, stretti tra l’immobilismo delle varie branche dell’amministrazione regionale e i veti di un ambientalismo astratto e bacchettone. L’incolumità dei cittadini e le ragioni naturalistiche che, oltre vent’anni fa, furono alla base dell’istituzione del Parco rappresentano una priorità assoluta”.
E si potrebbe continuare con altre prese di posizioni e conseguenti schieramenti in campo tra favorevoli e contrari. V’è solo da ricordare che il 13 agosto, cioè cinque giorni fa, un allevatore di 31 anni di Nicosia, in provincia di Enna, è stato caricato per due volte da un cinghiale in cerca di cibo, e se l’è cavata con tanta paura e un ricovero in ospedale.
A questo punto direte: ma che c’entrano i cinghiali con gli immigrati? C’entrano, perché se di fronte ad un morto in qualche modo annunciato dalla persistente dimenticanza nell’affrontare un problema oggettivamente pericoloso come le migliaia di cinghiali in giro per i nostri boschi, si riesce a fare in 24 ore una norma che sarà attuabile tra tre o quattro mesi, sempre che non vi siano manifestazioni di piazza contro la “mattanza” dei poveri e indifesi cinghiali, come pensate si possa non diciamo risolvere, ma almeno realisticamente affrontare, la questione immigrazione?
Non rimane che un consiglio, una lettura agostana: l’indimenticabile testo del maestro Marcello D’Orta “Io speriamo che me la cavo”, e come dicono gli inglesi: “Dio salvi la Regina”.