Sgomento, turbamento, inquietudine. Sorpresa, ma dolorosa e spaventata sorpresa. Sono alcuni dei termini che possiamo usare in queste ore, sopraffatti dalla notizia delle dimissioni del Papa. Ma è lecito a chi ha fede, dubitare e vacillare davanti a una decisione presa dal successore di Pietro? Non dovremmo invece rafforzare la nostra fiducia in lui, e confidare nella giustizia e bontà di una scelta sofferta, ma evidentemente ritenuta necessaria? Non dovremmo inchinarci alla Vergine di Lourdes, di cui si celebra oggi la festa, e chiederle di aiutare noi a capire, e la Chiesa a camminare nella certezza che le porte degli Inferi non prevarranno? Perché è così, abbiamo paura. E ci scordiamo che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ci hanno invitato fermamente tante volte a non averne. Abbiamo paura, sospettiamo chissà quali dietrologie fosche, facciamo balenare profezie antiche e nuove, cogliamo ogni segno dei tempi per sussurrarci l’un l’altro che questa giornata epocale segna qualcosa di irreversibile, forse, chissà, l’avvicinarsi di quell’Apocalisse di cui ogni comunità umana ha intravisto con tremore la possibilità. Malachia. Santa Faustina Kowalska. Qualcuno tirerà fuori il solito Nostradamus.
Oppure, ci sono zone d’ombra e scandali che verranno rivelati e cui il Pontefice non avrebbe saputo far fronte? La sua dichiarazione, serena e ferma, non assomiglia a un “Domine, non sum dignus”? È solo la salute a ispirare questa confessione? O il presagio di tempi duri e difficili, in cui coraggio e forze siano corazza richiesta a chi si pone come baluardo della Chiesa? Che ci aspetta, che vorrà dire questo annuncio in una giornata fredda e grigia di febbraio, mentre il Carnevale impazza e già ci cospargiamo il capo delle ceneri della Quaresima, increduli? In questa giornata in cui, non a caso, si celebrano in tutto il mondo i deboli, gli ammalati. Non a caso, il Papa che volle farsi “umile operaio nella vigna del Signore” ha scelto di piegarsi alla fragilità che il Signore gli assegna, oggi, come condizione di santificazione e purificazione per noi tutti. Che si saranno detti, Joseph e Gesù, a tu per tu, come crediamo avvenga ad un Papa? Che gli avrà suggerito lo Spirito Santo, che siamo certi, soffia la verità e le decisioni al Vicario di Cristo, con quali rivelazioni, con quali rassicurazioni? Perché l’aveva detto, Ratzinger, nell’intervista “Luce dal mondo”. Se il momento è difficile, non si abbandona la barca di Pietro. Non si accolla la responsabilità a un altro. E dunque, il Papa crede, sa, che nonostante le nostre sfiducie e debolezze la Chiesa cammina dritta, e sa perfino che nome avrà un nuovo Pastore, e di che stoffa, di che statura sarà. Gli sarà stato assicurato che sarà quello giusto. Come dubitarne.
Come dubitare noi, se lui non può dubitare. O sono camarille e congiure di palazzo, a tessere le fila, come accade per i poveri poteri temporali, o la Chiesa, che è nel tempo ma fuori dal tempo, sopravvive e rinasce quando più pare infiacchita per la forza di un Altro, che la intrama e vivifica. Benedetto XVI si ritira a pregare, vuol accompagnare così chi guiderà il timone con energia dopo di lui. Per offrire la sua preghiera, gli basta una stanza in un monastero di clausura alle pendici del Vaticano, non ha bisogno della più grande basilica del mondo, dei riflettori puntati sulla sua finestra. Inizia il tempo Santo, il più Santo per i cristiani, ci si avvicina alla Pasqua. Pesach, il passaggio. Ratzinger, il dotto, il sapiente, il mite, il forte di pensiero, filosofo, teologo, cardinale, Papa, vuol viverla da sacerdote. È un monito per tutti. Certo, Karol Wojtyla ha accettato il martirio della malattia fino all’ultimo. Ci sono diversi martirii, diverse testimonianze di umiltà, di affidamento al volere di Dio. C’è un tempo per ogni cosa e per ogni persona.
Rinunciare al soglio pontificio è suprema prova di umiltà, di dolce e tenera amorevolezza per i fedeli. Che vorrebbero, oggi, tutto il giorno, e poi domani, e almeno fino a quel 28 febbraio, essere rassicurati dal sorriso di Benedetto, dal suo ricordarci il nostro destino di “gioia”. Vorrebbero risentirsi dire ad ogni attimo: non abbiate paura, io so, andrà tutto bene, non praevalebunt. Di nuovo, e poi ancora, in continuazione. Pregate con me, se volete essere con me. Fidatevi, non siamo soli. Fidatevi, c’è qualcuno con noi, non ci lascerà mai. Non potremmo reggere senza questa certezza. Non possiamo neppur immaginare di essere abbandonati per un cedimento, per una tentazione. Non sarebbe da Papa. Non sarebbe da Benedetto. Dunque, la sua mitezza sia la nostra forza, la nostra speranza.