I tragici antichi rappresentavano l’orrore più disumano, bestiale, per purificare l’animo, per sanarlo. Egisti, Medee, incesti, matricidi, suscitavano raccapriccio catartico, obbligavano alla riflessione sul male di cui è capace l’uomo. No so se siamo ancora capaci di indignarci e rabbrividire, subissati quotidianamente da immagini di violenza e terrore, o se ci siamo addomesticati, e insistere con l’evidenza non distoglie le nostre coscienze flebili dal sollevare lo sguardo, e gridare lo sdegno.
L’Independent diffonde la notizia di una bambina di nove anni, stirpe yazida, etnia martire. Stuprata da dieci miliziani dell’Isis. La bimba, raccolta e trasportata tramite una Ong curda in Germania, è incinta. Ed è in pericolo di vita. Io non voglio neppure sfiorare il tema, se sia opportuno o meno farla abortire. Se decidere di sacrificare una vita per salvarne un’altra, se mai sia possibile che lei, così piccina, compia una scelta, o chi per lei, attanagliato dal terrore e sfinito dalla miseria, dalla persecuzione.
Ci sono momenti in cui solo la preghiera e il silenzio hanno posto. Ora penso a lei, a questa donna piccina che porta in seno il figlio di una fiera, di un demonio, e non è un’iperbole. Sarebbe potuta morire, chissà quante come lei violentate e uccise, o morte per la violenza. Per non dire dei bambini testimoni del sangue dei loro padri e madri, e uccisi essi stessi, sepolti vivi, torturati. Ce l’hanno detto, testimoniato, dovremmo saperlo. Invece questa bambina yazida è sopravvissuta, e non possiamo fare svanire il suo nome nel calderone delle vittime innocenti, che si scordano presto.
Ha un volto, dobbiamo occuparcene, dobbiamo guardare. E’ viva per noi. E’ sopravvissuta per noi. Come i bimbi atterriti, svuotati, raccolti dalle forze che liberarono i lager nazisti, come gli spettri che abitavano i gulag sovietici, come i piccoli stremati nel deserto d’Armenia che hanno potuto salvarsi e dire la verità. Il male se non ha volti non lo riconosciamo, siamo bravissimi a insinuare uno scetticismo cinico, certe notizie non sembrano tali, fanno insorgere sospetti di manipolazione, di propaganda. Lo vediamo benissimo, anche a distanza di un secolo, che si può negare la verità.
Ma questa bimba yazida è viva per costringerci a chiamare col loro nome il male assoluto, per ricordarci che genocidio non è un parolone, e soprattutto non riguarda il passato. L’ha detto bene il papa, parlando degli armeni, e alludendo senza reticenze ai perseguitati di oggi. Smettiamola di accampare questioni politico-economiche: ci sono eccome, ma non bastano. Il diavolo, probabilmente. Perché uomini massacrino altri uomini per la razza, o la fede religiosa. Perché uomini possano straziare una bambina per dar sfogo all’istinto animale, e ben sappiamo che il paragone non rende, gli animali non sono così crudeli.
E in nome di un dio, che l’unico Dio ci perdoni, per quante volte è pronunciato, offeso, vilipeso, usurpato il suo nome. Dovrebbe far solo paura, questo dio. Dovrebbe essere bestemmiato e negato, un dio che permette la follia perpetrata su una bimba incolpevole. Abbiamo il coraggio di stare davanti a questo orrore, o meglio tacere? Abbiamo il coraggio di pensare a questa bambina ogni mattina e ogni sera, per convincerci che il califfato non riguarda i paesi arabi, neppure le nostre paure, ma quel che vogliamo salvare dell’uomo?
Chiunque non denunci, non alzi la voce, non aiuti ad educare, non sostenga questi poveri, è complice. Chiunque finga che la cosa non ci riguardi, che non possiamo immischiarci, è colpevole. Come l’occidente lo è stato con Hitler, con Stalin, con le usurpazioni coperte da interessi in Cambogia, in Vietnam, in Corea, in Ruanda. Ma l’occidente siamo noi, nei posti di lavoro, nelle nostre scuole, nelle famiglie, nelle comunità. La bimba yazida è già morta, per il mondo. Distrutta nell’innocenza, nella fiducia, nella speranza. Noi sappiamo che la sua vita non è vana, né quella del suo bambino. Sappiamo che sono già salvi, e santificati, che il Dio vero è morto anche per loro. La loro presenza è un dono, per commuoverci, e darci coraggio, fortezza, scienza, intelletto, timor di Dio. Che prima o poi giudica, e accoglie i suoi figli.