Confermati i trenta anni di reclusione a Michele Buoninconti, accusato di aver ucciso la moglie Elena Ceste all’inizio del 2014. Il cadavere della donna di Asti è stato rinvenuto solo qualche mese dopo, con la Corte Suprema della Cassazione che ha respinto il ricorso della difesa dell’ex vigile del fuoco. Non è bastato lo sforzo dei legali dell’uomo, che hanno puntato tutto sulla mancanza di prove decisive: “Dall’autopsia si è appurato che sul corpo di Elena Ceste non è stata commessa alcuna violenza, neanche un graffio e non è possibile stabilire come sia morta né come sia arrivata in quel canale di scolo: è una vicenda molto dolorosa ma non c’è alcuna prova che sia stata uccisa”, il commento dell’avvocato riportato da Il Fatto Quotidiano. Lo staff legale di Michele Buoninconti, composto da Giuseppe Marazzita e Enrico Scolari, ha puntato sulla tesi del malore improvviso o della caduta fatale, con la donna in stato confusionale. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
CORTE SUPREMA RESPINGE RICORSO DELLA DIFESA
Pochi minuti fa è arrivata la sentenza: la Corte Suprema di Cassazione ha confermato la condanna a 30 anni di reclusione per Michele Buoninconti, accusato di aver ucciso la moglie Elena Ceste. Rigettato, dunque, il ricorso della difesa dell’ex vigile del fuoco, rendendo definitivo il verdetto emesso dalla corte d’Assise d’appello di Torino dopo la condanna del gup di Asti del novembre del 2015. Il cadavere della donna, scomparsa dalla sua abitazione nel gennaio 2014, venne ritrovato il 18 ottobre 2014 in un canale di scolo nella campagna vicina all’abitazione. Il procuratore generale Giuseppina Casella ha chiesto la conferma della condanna, con l’uomo che ha ammazzato la moglie al fine di rafforzare il suo dominio, unitamente al desiderio di vendetta di fronte ai tradimenti comprovati della consorte. “Personalità malvagia che non ha mai mostrato pentimento e che non merita attenuanti”, ha poi concluso la Casella. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
OMICIDIO ELENA CESTE: CONFERMATI 30 ANNI A BUONINCONTI
È attesa per oggi la sentenza della Cassazione sul caso di Elena Ceste, uccisa la mattina del 24 gennaio 2014 a Costigliole d’Asti ma trovata solo 9 mesi dopo nel rio Mersa dopo dei lavori di bonifica. Il marito Michele Buoninconti è l’unico imputato, accusato e già condannato nei precedenti gradi di giudizio con rito abbreviato ad anni 30 per omicidio volontario e occultamento di cadavere: l’ex vigile del fuoco è accusato di aver ucciso la moglie in preda ad un periodo di lunga crisi quando lei aveva ancora 37 anni ed avevano ben 4 figli. È in carcere dallo scorso 29 gennaio 2015 e attende per oggi – essendosi sempre dichiarato innocente – la possibile assoluzione o quanto meno il rinvio alla Corte d’Appello per eventuali perizie tecniche richieste dalla Difesa. È la resa dei conti per un processo che ha tenuto la cronaca nera italiana per mesi sotto scacco, sia prima che dopo la “comparsa” del cadavere della povera Elena: i giudici della Cassazione sono in camera di consiglio ed entro sera (al massimo domani mattina) dovrebbero arrivare a sentenza finale, con i legali di Buoninconti (Enrico Scolari e Giuseppe Marazzita) che fino all’ultimo sperano in ogni strada possibile per poter dimostrare la proclamato innocenza.
LA TESI DELLA PROCURA
La tesi della difesa è semplice: il marito di Elena Ceste dice di essere completamente innocente e che la donna si sarebbe allontanata volontariamente da casa in preda ad un delirio, nuda e senza nessun documento o cellulare appresso. Secondo invece quanto ha stabilito la sentenza di condanna di primo grado, sarebbe stato Buoninconti ad ucciderla dopo aver accompagnato i figli a scuola e sorpresa nella doccia: a quel punto avrebbe portato il suo corpo in auto vicino al Rio Mersa dove poi venne ritrovato ben 9 mesi dopo. In aula questa mattina il Procuratore Generale Giuseppe Casella, ricostruendo le varie tappe della vicenda giudiziaria, ha spiegato che Buoninconti avrebbe «agito con lucidità e freddezza. Il suo è un proposito criminale dettato da un movente riconducibile ad una sete di dominio sulla povera Elena Ceste, e anche un malsano senso dell’onore». Secondo quanto riportato dagli inviati di Quarto Grado (qui l’intera ricostruzione del caso fatto nella scorsa puntata dell’11 maggio 2018), la Procura ha raccolto nel dettaglio tutte le tappe della vicenda di Elena e Michele, con la difesa che invece continua a riproporre lo schema delle perizie scientifiche incomplete ed errate. Il verdetto invece si baserà su quegli elementi di prova trovati nell’auto dell’ex pompiere che avrebbe ucciso la moglie perché stava per allontanarsi da lui, forse con la separazione, il che avrebbe scatenato un profondo risentimento in lui tanto da arrivare all’orrendo e presunto gesto omicida.